Tutto chiaro, insomma? Non tanto. Nessuna prova, salvo la zoppicante testimonianza di Flint e soprattutto il riconoscimento della donna – con tutta la fallacia di questo tipo di riconoscimenti – era contro Bharadia, che intanto continuava a sostenere di essere innocente. L’uomo fu condannato all’ergastolo e non si pensò neanche di fare il più banale dei test: il Dna sui guanti. Bharadia chiese la possibilità di un appello e i suoi avvocati ottennero di fare il Dna sui residui dei guanti. Il risultato fu: Dna femminile all’esterno e maschile all’interno. Ma il Dna non era compatibile con quello dell’uomo. Allora i legali chiesero di ottenere il Dna di Flint, ma la corte disse no. E non ci fu un nuovo processo. Passati diversi anni, il Georgia Innocence Project prese in carico il caso Bharadia e nuovi legali presentarono una mozione per ottenere un accesso al database del Dna CODIS (presso l’Fbi).
E nel 2012 si ebbero i risultati: il Dna era di Flint.
A questo punto i legali, con queste nuove e – a loro dire – inoppugnabili prove si rivolsero alla corte per chiedere un nuovo processo. Tuttavia, la corte glielo negò e così fece la Corte suprema della Georgia. Nulla, a dire della più alta istanza dello stato, aveva impedito all’allora avvocato di Bharadia di chiedere il test del Dna e, anche se effettivamente questa prova “avrebbe probabilmente prodotto un differente verdetto”, ora un nuovo processo non può essere fatto, spiegava la corte. Una norma studiata, evidentemente, per impedire che i processi diventino infiniti, si ritorceva contro la possibilità di un uomo di tornar libero se innocente. Al di là del fatto che la nuova prova sia o meno definitiva sul caso Bharadia, il professore associato di legge della Emory University Julie Sandman, che ha scritto l’articolo, sottolinea il fatto che “nella decisione della Corte suprema della Georgia, la questione dell’innocenza diventa irrilevante se c’è stato un fallimento nel modo in cui si è proceduti”. Cioè, spiega ancora, “una persona innocente può essere imprigionata e anche giustiziata, perché sono stati commessi errori dal suo legale”.