L’incognita del referendum mette pressione sugli asset finanziari italiani. L’Italia non è tornata a rappresentare l’epicentro del rischio all’interno dell’area euro anche se gli investitori confermano una certa allergia a tutto ciò che alimenta l’incertezza. Piuttosto l’Italia è diventata il terreno preferito per gli esercizi della speculazione finanziaria. Da luglio ad oggi infatti è in crescita costante lo spread tra il Btp decennale e l’omologo spagnolo. La percezione del rischio sull’Italia sta aumentando con l’approssimarsi del referendum. Il credit default swap a 5 anni oscilla intorno a 150. Significa che si pagano 150mila dollari per assicurarsi contro il default di titoli di Stato italiani per 10 milioni di dollari. Il costo dell’assicurazione rappresentato dai Cds è esattamente sette volte quello per i titoli tedeschi ma soprattutto è il doppio rispetto ai 76 dollari del Cds sui bond della Spagna. La divaricazione dello spread tra Italia e Spagna e il trend dei Cds a 5 anni fotografano meglio di qualsiasi altro raffronto la percezione dell’Italia sui mercati finanziari in questo periodo. Dopo il referendum sulla Brexit i riflettori dei mercati sono tornati a spostarsi sui cosiddetti paesi periferici dell’area euro, Italia, Spagna e Portogallo. Ma è il referendum costituzionale in calendario il 4 dicembre il principale catalizzatore. Gli analisti concordano che una vittoria del No avrebbe conseguenze negative per la stabilità politica dell’Italia. Ma non sono le prospettive politiche a determinare in questa fase il trend dei titoli di Stato e dei Cds. In una nota alla clientela, gli analisti di Pimco sostengono che “il referendum, nell’immediato, potrebbe generare qualche opportunità. In vista del voto si potrebbe registrare un aumento della volatilità degli spread periferici e degli attivi di rischio europei che potrebbero sottoperformare in caso di vittoria dei No”. Questa sottoperformance “potrebbe offrire l’opportunità di incrementare le posizioni di rischio a condizioni più convenienti specialmente nel caso dei titoli sovrani delle economie periferiche che rimangono ancorati dal Qe della Bce”.
Gli investitori sono piuttosto prudenti sugli attivi europei nel medio termine, ciò in quanto le prospettive macroeconomiche sono poco entusiasmanti, il rischio politico complessivo è elevato e la remunerazione per questo rischio è modesta. Questo contesto amplifica i movimenti ribassisti sugli asset italiani. Il raffronto con la Spagna è emblematico in quanto i due paesi hanno lo stesso rating per S&P e Fitch mentre per Moody’s Madrid si fa preferire di un notch su Roma. Italia e Spagna hanno una valutazione simile sui mercati anche se presentano profili diversi. Dal default di Lehman Brothers, infatti, i principali indicatori finanziari si sono mossi in modo analogo, con alcune parentesi. Madrid presenta una dinamica economica migliore alla penisola. Il Pil spagnolo, a prezzi costanti, nel secondo trimestre è stato pari a 279 miliardi, non lontano dai 280 miliardi, massimo storico raggiunto nello stesso trimestre del 2008. Praticamente il Pil è tornato ai livelli pre-crisi. Il Pil italiano del secondo trimestre, sempre a prezzi costanti, è stato pari a 390 miliardi, ancora lontano da 424 miliardi, massimo storico raggiunto nel ll trimestre del 2008. In pratica siamo sotto i livelli pre-crisi, mancano all’appello circa 34 miliardi a trimestre. L’Italia tuttavia nell’ultimo anno ha mostrato un miglioramento sul fronte occupazionale superiore alla Spagna nonostante una ripresa meno dinamica. Ma soprattutto i conti pubblici della penisola sono più tranquillizzanti. E’ vero che il debito è sopra il 132% (la Spagna oscilla intorno al 100%) ma il deficit è ben sotto l’asticella del 3% mentre Madrid fatica a raggiungere il 4% e solo il clima antieuropeo che si respira nel vecchio continente ha scongiurato l’avvio della procedura d’infrazione da parte di Bruxelles. Osservando l’andamento dei principali indicatori sulla percezione del rischio, dal referendum sulla Brexit lo spread tra Italia e Spagna ha cambiato rotta. Per oltre due anni, dal marzo del 2014 al giugno scorso, lo yield dei decennali spagnoli è stato costantemente superiore rispetto al Btp. Significa che la Spagna doveva pagare più dell’Italia per finanziarsi sul mercato. Alla fine dell’anno scorso lo spread era arrivato a 30 punti base, una forbice storicamente ampia che nemmeno nel 2011-2012, ai tempi della crisi del debito sovrano, era stata raggiunta tra Italia e Spagna. Da gennaio scorso in poi il differenziale si è progressivamente ridotto fino ad azzerarsi dopo il voto sulla Brexit. Da allora lo spread ha invertito rotta e da qualche settimana il rendimento del Btp decennale è superiore di 35-38 punti base rispetto all’omologo titolo spagnolo che ha toccato il minimo storico scendendo sotto l’1%.