Iran, non si placa la protesta contro il carovita: almeno 20 morti e centinaia di arresti

1 gennaio 2018

Alle 20 vittime circa finora causate dalla manifestazioni di protesta contro il carovita, represse da giovedi’ nel sangue dall’ala dura iraniana, si aggiunge stasera la morte di un agente ed il ferimento di altri 3 con un fucile da caccia a Najafabad, 400 km a sud di Teheran, nella provincia centrale di Isfahan. Questo malgrado gli appelli del presidente, il clerico moderato, Hassan Rohani, a riconoscere il diritto “a dissentire pacificamente” del popolo. Dunque, in Iran non si fermano le proteste contro il regime degli Ayatollah. Rohani, dopo il discorso in cui aveva difeso la liberta’ di manifestare in modo pacifico, ha nuovamente alternato bastone e carota verso la piazza. Cosi’ ha definito le proteste “un’opportunita’ e non una minaccia” ma poi ha puntato il dito contro i Paesi che sobillerebbero i manifestanti perche’ non sopportano il ruolo crescente di Teheran nella regione: “Il nostro progresso per loro era intollerabile, cosi’ come il nostro successo politico rispetto agli Stati Uniti e al regime sionista (Israele, ndr)”. Rohani ha anche risposto a Donald Trump: “Il grande popolo iraniano e’ represso da molti anni. Sono affamati di cibo e di liberta’”, aveva twittato il presidente americano affermando che nel Paese “e’ arrivata l’ora del cambiamento”. “Il leader degli Stati Uniti”, che “e’ totalmente contro la nazione iraniana, non ha alcun diritto di simpatizzare con i manifestanti”, gli ha replicato il presidente dell’Iran.

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Domenica sera, per la quarta giornata consecutiva gli iraniani sono scesi in strada per protestare contro il governo che non e’ stato capace di risollevare le condizioni economiche del Paese e ci sono stati disordini, nonostante l’appello alla calma di Rohani. Gli iraniani sono scesi per le strade di molte citta’ per protestare contro la crisi economica, la disoccupazione, il carovita e la corruzione. Sei persone sono morte nella piccola citta’ di Tuyserkan (tre per colpi d’arma da fuoco e tre nei successivi scontri”; due manifestanti durante le proteste a Izeh (nel sud-ovest); e a Doroud, nell’ovest, due vigili del fuoco sarebbero morti dopo che il mezzo su cui si trovavano e’ stato spinto giu’ da un pendio dalla folla. A Teheran la polizia ha usato lacrimogeni e cannoni ad acqua per disperdere una protesta a piazza Engheleb. Altre proteste si sono svolte a Kermanshah e Khorramabad, nell’ovest, Shahinshahr nel nortd-ovest e a Zanjan, nel nord. Ad Arak, a sud di Teheran, sono stati feriti 12 poliziotti e ci sono stati un centinaio di arresti. In totale gli arrestati sono molte centinaia, solo nella giornata di sabato a Teheran ne erano finiti in manette 200. I manifestanti hanno attaccato edifici pubblici, centri religiosi, banche e sedi Basij, la milizia islamica del regime. I manifestanti hanno anche dato fuoco ad auto della polizia. Ci sono stati centinaia di arresti anche perche’ il presidente aveva preannunciato che la violenza non sarebbe stata tollerata.

Le dimostrazioni di domenica sera si sono svolte nonostante le autorita’ abbiano bloccato l’accesso ai social network, Telegram e Instagram, che erano stati usati per organizzare e coordinare la protesta. La protesta e’ partita giovedi’ dalla citta’ nord-orientale di Mashaad e l’indomani si e’ estesa in diverse citta’, compresa la capitale Teheran teatro dove sabato sono scese in piazza migliaia di persone e ci sono stati scontri con la polizia. Secondo la premio Nobel per la pace, l’avvocatessa iraniana Shirin Ebadi, la protesta iniziata per il malcontento rispetto al carovita e all’impegno militare all’estero dalla Siria al Libano fino allo Yemen, potrebbe presto assumere connotati analoghi all'”onda verde” del 2009, quando si diffuse la contestazione popolare contro la rielezione del presidente ultraconservatore Mahmoud Ahmadinejad. Anche allora la repressione fu particolarmente dura. La fine delle sanzioni, dopo l’accordo sul nucleare del 2015, nonostante la recente marcia indietro di Trump, non sembra aver determinato una ripresa nel tenore di vita della popolazione, anche in ragione dell’aumento delle spese militari. Il malcontento per il ferreo controllo del regime su tutti gli aspetti della vita sociale e’ particolarmente diffuso tra i giovani. Al momento il numero uno della Repubblica islamica, la Guida suprema Ali Khamenei, non ha preso posizione.

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