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La voce al telefono è dolce, limpida, chiara, morbida con una lieve inflessione tra lo straniero e il milanese. Se la voce di Irina Lungu non ti ha già conquistato ascoltandola cantare i ruoli delle eroine del belcanto, beh, ascoltarla parlare anche attraverso un cellulare ha lo stesso effetto. Una voce che sa riflettere l’espressione del viso: anche se non la stai guardando puoi immaginare, cogliere magari, cosa il volto sta esprimendo. È questo del resto la sensazione avuta quando, ascoltando lo streaming audio del Rigoletto da Metropolitan di New York, sono rimasta colpita dalla fresca purezza della sua Gilda. Da allora sono passati 6 anni e gli ascolti di questo carismatico soprano russo sono stati diversi e live, ma l’impressione è rimasta. L’occasione di questo incontro telefonico è offerto da Taormina Arte e dal Teatro Bellini di Catania che stasera, in questa strana estate musicale – post lockdown causa Covid 19 – portano al Teatro Antico di Taormina una Traviata di Verdi in forma da concerto, protagonista appunto la Lungu a fianco di Ivan Ayon Rivas e Franco Vassallo.
La Traviata, Violetta Valery, “è un ruolo è cresciuto, maturato con me – racconta Irina Lungu – io sono cresciuta insieme a Violetta. Mi ha accompagnato per tutta la mia carriera e con Violetta ho quasi un rapporto simbiotico, proprio perché l’ho rappresentato così tante volte”. Duecento volte, a voler essere precisi, ma sicuramente non è solo il numero delle rappresentazioni a legarti particolarmente ad personaggio. “Violetta è un ruolo completo, ed io amo cimentarmi con personaggi che esprimono più sentimenti, hanno più sfumature caratteriali. Ad esempio – spiega meglio – io amo molto il personaggio di Musetta, che ho cantato tante volte, tuttavia è un carattere che mostra un solo lato – la civetteria, la spensieratezza (n.d.r) – e per questo può risultare meno stimolante”. Piacciono le sfide interpretative ed espressive ad Irina Lungu quindi come quelle che possono offrire personaggi a tutto tondo. “Manon di Massenet, ad esempio è un altro personaggio che amo molto, come anche Mimì della Bohème di Puccini. La sua liricità è molto vicina al mio modo di essere, così come la Giulietta, sia dei Capuleti e Montecchi di Bellini che la Juliet di Gunoud. Sono di ruoli che sul palcoscenico ti consentono di fare uscire un po’ di te stessa”.
Ruoli tutti che celano una forza interiore dietro una apparenza delicata e fragile, un po’ proprio come questa giovane cantante che da una regione della Russia nell’arco di una quindicina di anni si è fatta strada ritagliandosi un ruolo importante nei grandi teatri internazionali: dal Metropolitan di New York a La Scala di Milano – dove ha, proprio pochi giorni fa, dato un concerto alla riapertura del teatro post lockdown – dalla Staatsoper di Vienna all’Arena di Verona, e tanti altri ancora. Eppure lei stessa, a proposito di questa conquistata fama si schernisce. “Affermata? Mah, io ancora non ho questa sensazione. Se devo dire la verità non è questo il mio obbiettivo: sentirmi una cantante affermata. Il mio traguardo, se si può dire, è più quello di cantare bene, interpretare il ruolo che mi piacciono al meglio. Magari il massimo raggiungimento della mia carriera potrebbe essere quello di fare in Italia il repertorio italiano, che è un teatro parola, sapendo di averlo fatto nel modo giusto. Questo per me è importante. Sono affermata? Non lo so. Non lo posso dire, non sono io a doverlo dire”.
Ecco… sembra di ascoltare, nella sua dignità, una delle sue eroine tanto amate. E questo porta a immaginare come riuscirà a dare volto e voce a Violetta questa sera anche in un momento come questo dove il distanziamento obbligatorio, le misure anti Covid, costringono a non potere interagire con i partner. “Penso che comunque anche in questa situazione – dice Irina Lungu -, anche in una forma da concerto, riuscire a trasmettere ciò che Verdi e la sua musica esprimono in quest’opera sarà un’esperienza fortissima”. “ Poter essere di nuovo su un palco – continua la cantante, ricordando i mesi trascorsi in lockdown a Milano, dove vive – è un miracolo. In tutta la mia carriera non mi è mai capitato di restare senza lavorare per quattro mesi consecutivi”. E come li ha trascorsi questi mesi? “Mah, diciamo come tutti. Un po’ studiando, ripassando, un po’ in cucina, un po’ aiutando mio figlio, che va in 5 elementare, con la scuola a distanza. Ho imparato a fare i compiti con lui – aggiunge sorridendo – così ho perfezionato il mio italiano”, che peraltro parla benissimo. Un periodo frustrante, ma che le ha anche permesso di guardare a ruoli nuovi. “Sto preparando Nedda in Pagliacci”. Un ruolo verista, un po’ lontano dal genere belcantista cui è legata.
“Si forse. Io non sono una persona cui piace esprimersi in modo forte, passionale, per questo mi ritengo belcantista, non solo per le agilità tecniche, ma per il simbolismo di queste. Con i virtuosismi nel belcanto si esprimono i sentimenti in modo meno diretto, e questo mi è più vicino. Tuttavia è giusto guardare a nuovi ruoli seguendo la natura della propria voce. Mi sono resa conto di avere una voce molto versatile che mi permette di passare dal repertorio francese, come Massenet ad esempio, a Verdi, Puccini, e qualche ruolo del repertorio russo. Mi muovo quindi – continua il soprano russo - per assecondare questa versatilità, scegliendo accuratamente ruoli che si avvicinano alla mia vocalità come anche alla mia personalita”. Una linea di condotta ferrea, dettata da una consapevolezza dei propri mezzi ma anche dall’accuratezza che mette “nell’interpretare un ruolo, cercando di esprimerlo nella sua completezza e nelle sue sfaccettature”. Disciplina che la porta ancora a non valutare la possibilità di interpretare ruoli come Norma, esempio di belcantismo classico, di Bellini, o Tatiana in Onegin di Tchaikovsky, perché “non mi sento ancora pronta. Vedremo, più avanti”. Sicuramente, tempo a sua disposizione ne ha. Appena 40 anni, con una vocalità in piena espressione. Questa sera intanto ascoltiamola a Taormina nella "sua" Violetta.