Con un sorriso per la macchina fotografica, accanto ai compagni di scuola, un ragazzino grande tifoso di calcio si prepara a diventare il boia dell’Isis. L’undicenne Mohammed Emwazi in posa per una foto di classe non somiglia all’uomo vestito di nero da volto nascosto che urla richieste ai governi occidentali nei video dell’Isis. Scattata 17 anni fa nella scuola St Mary Magdalene della Chiesa d’Inghilterra a Maida Vale, nell’ovest di Londra, la foto mostra Emwazi, più tardi noto come Jihadi John, nel momento della sua massima innocenza. La vera identità del killer jihadista era nota da mesi ai servizi sulle due sponde dell’Atlantico e in gran parte del Medio oriente. Ma non era possibile indagare in modo troppo intrusivo finchè c’erano ostaggi innocenti nelle sue mani, per questo la sua famiglia a Londra non è stata interrogata e i suoi amici non sono stati interpellati. Dopo che il nome, Mohammed Emwazi, è stata pubblicato ieri, sono emersi dettagli sulla sua vita e sulla sua discesa nell’inferno del terrorismo.
La famiglia Emwazi si è trasferita dal Kuwait a Londra 20 anni fa, quando il bambino aveva sei anni, per stabilirsi a North Kensington, quartiere residenziale dell’Ovest di Londra, che ha già prodotto numerosi violenti jihadisti. Mohammed studia alla scuola Quintin Kynaston di St John`s Wood, nel nord di Londra e nel 2009 si laurea in informatica all’University of Westminster. Gli amici lo descrivono come un ragazzo beneducato, musulmano osservante, amante della moda. Fa anche parte di un gruppo di ragazzi musulmani che gioca a calcio a cinque, ha studiato nella stessa scuola, frequenta la stessa moschea e segue in particolare un predicatore, Hani al-Sibai. Del gruppo, oggi tre sono morti, uno ha perso la cittadinanza britannica e vive in Sudan, un altro non può lasciare il Regno unito nel timore di perdere la cittadinanza, altri ancora sono in prigione. Secondo chi ha seguito i circoli jihadisti dell’ovest di Londra Emwazi comincia a farsi notare cinque o sei anni fa e stringe legami cun un certo numero di persone seguite da vicino da MI5 e Scotland Yard.
Cinque anni fa il gruppo di aspiranti jihadisti trova un leader in Bilal el-Berjawi, libanese cresciuto anche lui a North Kensington. Nel 2011, Berjawi perde la cittadinanza dopo essersi unito agli Shebab somali, di cui diventa un comandante, per essere poi ucciso a gennaio 2012 da un drone Usa. Il mese dopo anche Mohamed Sakr, vicino di casa di Berjawi a Londra, viene ucciso dai droni Usa. Nel 2009, Emwazi parte per la Tanzania. Dirà poi agli amici che si trattava di un “safari”, ma l’MI5 e le autorità tanzaniane non sono convinti. Emwazi viene respinto alla frontiera e in una serie di dichiarazioni successive a Cage, una ong che si occupa delle comunità toccate dalla “guerra al terrore”, dice di essere stato minacciato da uomini armati delle forze di sicurezza della Tanzania, che gli dicono di agire per conto del governo di Sua Maestà. Respinto dalla Tanzania, viene messo su un aereo per l’Olanda, dove viene interrogato da un agente britannico dal nome di Nick, che lo accusa di voler entrare negli Shebab.
In una serie di email a Cage, Emwazi afferma che l’agente “sapeva tutto di me”: dove vivevo, cosa facevo e chi frequentavo”. L’ufficiale dell’MI5 avrebbe poi tentato di convincere Emwazi a lavorare per i servizi britannici. Quando lui rifiuta, gli promette “vita dura”. Emwazi viene poi imbarcato su un ferry per Dover, dove la polizia lo interroga e gli dice di aver contattato la sua fidanzata in Kuwait, che in seguito lo lascia. La polizia locale di Londra lo accusa poi di piccoli furti. Nel 2010 viene accusato di aver comprato una costosa bicicletta rubata, una Cannondale Bad Boy. Un tribunale lo assolve. Emwazi si trasferisce in Kuwait, dove trova lavoro in una società informatica, ma durante un viaggio di ritorno a Londra viene fermato e interrogato dalla polizia e secondo le sue accuse viene assalito da un agente. Il giorno dopo non riesce imbarcarsi su un aereo per il Kuwait e viene informato che il suo visto è stato annullato.
L’anno successivo il suo nome affiora in tribunale come membro di una “rete di estremisti islamici in Gran Bretagna e in Africa orientale, coinvolta nel finanziamento e nell’equipaggiamento della Somalia per motivi terroristici”. Lui nega di far parte di gruppi terroristici. Nel 2013, il padre gli consiglia di cambiare nome. Lo fa, assumendo quello di Mohammed al-Ayan, ma neppure così riesce ad entrare in Kuwait. Poco dopo lascia la famiglia e si reca in Turchia, dove dice di voler lavorare con i rifugiati siriani. Quattro mesi più tardi la polizia britannica informa la famiglia che ha varcato il confine siriano. Nasce qui Jihadi John.