Alla fine li hanno arrestati. Per mesi tre tunisini indagati di terrorismo internazionale erano sfuggiti alla cattura non grazie a qualche abilita’ criminale, ma per i farraginosi meccanismi della giustizia italiana. Ieri sera pero’ e’ arrivato il via libera della Cassazione: e oggi i carabinieri del Ros hanno potuto eseguire l’ordinanza di custodia. Nafaa Afli, Bilel Mejri e Marwen Ben Saad, di 27, 26 e 31 anni, sono accusati di avere abbracciato la causa dell’Isis e, in particolare, di avere aderito a una fazione nota come Ansar al-Sharia: idee sbandierate su Facebook, dove – secondo le indagini – condividevano proclami, preghiere e materiale di propaganda nascondendosi dietro profili fittizi. Sotto la lente della procura di Torino e degli investigatori dell’Arma erano finiti sin dal 2016. Ma un gip del tribunale subalpino, nel giugno dell’anno successivo, aveva detto “no” alla misura cautelare: gli indizi, a suo dire, portavano a concludere che, sebbene il gruppo tradisse una “forte pericolosita’ sociale”, si poteva parlare al massimo di una “nebulosa e progressiva radicalizzazione” che non varcava ancora “la soglia penalmente rilevante”. Il pm Andrea Padalino fece ricorso al tribunale del riesame e vinse la partita. Bisognava pero’ attendere la conferma della Cassazione. I tre sono stati rintracciati in poche ore perche’, dopo essersi trasferiti da Torino a Pisa, hanno pensato bene di infilarsi nel giro dello spaccio e sono stati messi ai domiciliari. Due dei loro compagni, Bilel Chihaoui e Bilel Tebini, anche loro colpiti dal mandato di cattura, nel frattempo hanno lasciato dall’Italia: Bilel Chihaoui espulso gia’ nell’agosto del 2016 dopo avere postato su Facebook l’intenzione di trasformarsi in martire, Bilel Tedini di propria iniziativa. Era un gruppo affiatatissimo quello che dalla Tunisia arrivo’ a Torino nel 2015. Per ottenere il permesso di soggiorno si iscrissero all’Universita’ ottenendo pure una borsa di studio, ma presentarono documenti fasulli. Due di loro, Wael Labidi e Khaled Zeddini, un giorno salutarono e partirono per la Siria, dove trovarono la morte combattendo per conto dell’Isis. I compagni li celebrarono come ‘martiri’ e, come vuole il Califfato, li omaggiarono portando del cibo in una moschea. Nelle carte dell’indagine spicca una considerazione del pm Padalino: anche cliccare “mi piace” sotto un post su Facebook e’ un chiaro segnale di adesione.