La situazione nella Striscia di Gaza rimane tesa, con continui attacchi da parte dell’esercito israeliano, in particolare a Rafah. La guerra si avvicina al suo ottavo mese, e nonostante le proteste della comunità internazionale, l’offensiva israeliana continua nella città del sud confinante con l’Egitto. Tuttavia, oggi è arrivata la conferma ufficiale da Tel Aviv: Israele accetta la proposta di cessate il fuoco avanzata dal presidente americano, Joe Biden. Ora la palla passa ai gruppi attivi nella Striscia di Gaza, da Hamas al Jihad Islamico, che dovranno sottoscrivere un accordo che prevede una tregua di sei settimane, il ritiro completo delle truppe israeliane dalla Striscia e la liberazione di tutti gli ostaggi.
L’apertura dello “Stato ebraico” e i segnali positivi giunti ieri dal partito armato palestinese che governa la Striscia, nonostante il Jihad Islamico si mostri più dubbioso, fanno sperare in una tregua che consentirebbe alla popolazione palestinese di ricevere aiuti umanitari e un temporaneo sollievo dai bombardamenti incessanti. Tuttavia, questo primo passo non garantisce una pace duratura. Il consigliere per la politica estera di Netanyahu, Ophir Falk, ha sottolineato che la strada da percorrere è ancora lunga e piena di ostacoli. “Abbiamo accettato l’accordo, non è un buon accordo, ma vogliamo veramente che gli ostaggi vengano tutti rilasciati”, ha dichiarato Falk al Sunday Times. “Ci sono molti dettagli da risolvere, incluso il rilascio degli ostaggi e la distruzione di Hamas come organizzazione terroristica genocida”.
Questa ultima puntualizzazione, ribadita da Netanyahu nelle sue dichiarazioni di sabato, solleva dubbi sulla risposta di Hamas. Accettare una tregua di sei settimane, liberare tutti gli ostaggi e poi assistere alla ripresa dell’assedio potrebbe non essere una prospettiva accettabile per il gruppo. Nonostante gli sforzi della comunità internazionale, inclusi gli Stati Uniti, per evitare una nuova escalation della guerra, la posizione di Netanyahu sembra irremovibile. “Ci sono ancora molti dettagli da definire e questo include che non ci sarà un cessate il fuoco permanente fino a che tutti gli obiettivi di Israele non saranno raggiunti”, ha precisato Falk. Al vertice del Cairo, dove si sono incontrate le delegazioni di Egitto, Stati Uniti e Israele, sono emerse prime indicazioni sui punti critici da risolvere in attesa della risposta di Hamas.
Gli inviati di Abdel Fattah al-Sisi hanno chiarito che la riapertura del valico di Rafah dovrà essere preceduta dal “ritiro incondizionato di Israele dall’area” e dall’assicurazione che l’invio di aiuti a Gaza possa avvenire “senza restrizioni”. L’Egitto ha ribadito che Israele è responsabile del mancato ingresso di aiuti umanitari a Gaza dal 7 maggio scorso, quando i militari israeliani hanno preso il controllo della parte palestinese del confine. Netanyahu può contare sul sostegno del presidente Isaac Herzog, che ha affermato: “Non dobbiamo dimenticare che per la tradizione ebraica non c’è comandamento più grande che salvare i prigionieri e gli ostaggi, soprattutto se si tratta di cittadini israeliani che lo Stato di Israele non è stato capace di difendere. È un nostro intrinseco dovere riportarli a casa all’interno di un accordo che preservi la sicurezza degli interessi dello Stato di Israele”.striscia
La decisione del premier Netanyahu potrebbe portare a una distensione interna, dopo mesi di manifestazioni di piazza che chiedevano di dare priorità alla liberazione degli ostaggi rispetto alla guerra contro le fazioni islamiste. Questo potrebbe dargli maggiore libertà d’azione in futuro, qualora decidesse di riprendere l’offensiva nella Striscia. Tuttavia, deve ancora affrontare problemi all’interno della sua maggioranza. Il ministro del gabinetto di guerra, Benny Gantz, ha già presentato alla Knesset una proposta di legge per lo scioglimento dell’esecutivo e nuove elezioni entro il prossimo ottobre. Anche nell’ala più estremista, rappresentata dai ministri della Sicurezza Nazionale e dell’Economia, Itamar Ben Gvir e Bezalel Smotrich, ci sono proteste e minacce di ritirare il sostegno all’esecutivo in caso di accordo con Hamas. Per Netanyahu, il gioco di equilibri per la propria sopravvivenza politica è appena iniziato.
Sul fronte bellico, circa un milione di palestinesi sono fuggiti di fronte all’avanzata, sotto la copertura aerea delle forze israeliane. Le operazioni israeliane hanno costretto migliaia di famiglie a fuggire, e i rifugi dell’UNRWA a Rafah sono ormai vuoti. La Mezzaluna Rossa palestinese ha ricevuto richieste di aiuto da parte dei civili di Rafah, ma ha dichiarato che è “molto difficile” raggiungerli a causa dei continui bombardamenti israeliani. Testimoni locali hanno riferito di veicoli militari israeliani a Rafah occidentale e centrale, forti esplosioni, combattimenti, spari continui con droni ed elicotteri Apache. La situazione è estremamente critica e richiede urgenti interventi per proteggere la popolazione civile e raggiungere una soluzione pacifica.