L’ennesimo viaggio diplomatico del segretario di Stato americano Antony Blinken in Medio Oriente ha segnato una tappa fondamentale nei complessi negoziati tra Israele e Hamas. Per la nona volta dall’inizio del conflitto, Blinken è volato a Gerusalemme per incontrare il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu, in un momento che lui stesso ha definito “decisivo”. Il principale obiettivo della visita era sbloccare lo stallo sui colloqui per una tregua a Gaza e la liberazione degli ostaggi detenuti da Hamas.
Dopo tre ore di colloqui, Netanyahu ha infine dato il suo assenso alla più recente proposta americana, formulata a Doha la scorsa settimana. Blinken ha confermato il sostegno di Israele, ma ha sottolineato che ora è il turno di Hamas di rispondere positivamente. “Questo è un momento critico,” ha detto Blinken in conferenza stampa, “probabilmente la migliore, forse l’ultima opportunità per riportare a casa gli ostaggi, ottenere un cessate il fuoco e avviare un percorso verso una pace duratura.”
La visita di Blinken si inserisce in un contesto di diplomazia frenetica e ad alto rischio. Da quando il conflitto è riesploso a ottobre, i tentativi di mediazione internazionale sono stati numerosi, ma raramente hanno prodotto risultati tangibili. Questa volta, tuttavia, la pressione su entrambe le parti è più forte che mai. Gli Stati Uniti, tradizionalmente alleati di Israele, hanno intensificato il loro coinvolgimento nel tentativo di evitare un’escalation ulteriore che potrebbe destabilizzare l’intera regione.
Durante l’incontro a Gerusalemme, Blinken ha fatto leva su una combinazione di pressioni e incentivi per convincere Netanyahu ad accettare la proposta. L’incontro è stato definito “molto costruttivo” dalle fonti israeliane, con Netanyahu che ha mostrato una rara “elasticità” nelle sue posizioni. Tuttavia, le concessioni fatte da Israele restano avvolte nel mistero, con numerosi osservatori che si chiedono quanto spazio di manovra abbia realmente Netanyahu su questioni chiave come la sicurezza e il controllo dei territori.
Uno dei nodi più complessi dei negoziati riguarda il corridoio Filadelfia, una striscia di 14 chilometri che corre lungo il confine tra Gaza e l’Egitto. Questo corridoio, strategico per il controllo delle rotte di contrabbando e dei rifornimenti militari, è stato a lungo un punto di contesa tra Israele e Hamas. Durante i colloqui, Netanyahu ha insistito sul mantenimento del controllo da parte dell’IDF (Israel Defense Forces) su questa area, insieme al valico di Rafah e al corridoio di Netzarim, che divide la Striscia di Gaza in due.
Secondo fonti israeliane, gli Stati Uniti hanno esercitato una pressione eccezionale su Netanyahu affinché accettasse compromessi su questi punti. La “elasticità” mostrata dal premier potrebbe indicare una disponibilità a ridurre gradualmente la presenza militare israeliana in queste aree, ma solo in cambio di garanzie di sicurezza concrete. Tuttavia, la questione rimane aperta e sarà probabilmente al centro dei prossimi incontri tra i mediatori.
Se da un lato Israele sembra aver fatto un passo avanti, dall’altro Hamas ha reagito con scetticismo e ostilità. In un comunicato diffuso poco dopo l’annuncio della proposta americana, il movimento islamico palestinese ha accusato Israele di “cambiare le carte in tavola” e ha criticato duramente gli Stati Uniti per essersi allineati alle posizioni israeliane. Secondo Hamas, le nuove condizioni imposte da Israele mirano solo a prolungare il conflitto e a consolidare l’occupazione di Gaza.
Questa reazione non sorprende, data la lunga storia di diffidenza tra le due parti e le numerose incomprensioni che hanno caratterizzato i precedenti tentativi di negoziato. La posizione di Hamas rimane intransigente: il movimento insiste sul ritiro completo delle forze israeliane da Gaza come precondizione per qualsiasi accordo. Tuttavia, Israele, preoccupato per la sicurezza dei propri cittadini e per il rischio di un riarmo di Hamas, non è disposto a cedere su questo punto.
La visita di Blinken e l’accettazione della proposta americana da parte di Israele non possono essere pienamente comprese senza tenere conto del più ampio contesto regionale e internazionale. Gli Stati Uniti, pur cercando di giocare un ruolo di mediatore, sono chiaramente influenzati dalla campagna elettorale interna in vista delle elezioni presidenziali di novembre.
Il sostegno al governo israeliano resta un tema caldo in politica interna americana, soprattutto in vista del voto della comunità ebraica. Allo stesso tempo, gli Stati Uniti sono preoccupati per la possibilità che il conflitto si espanda ulteriormente, coinvolgendo altri attori regionali come l’Iran e Hezbollah in Libano. Blinken ha chiarito che il dispiegamento di ulteriori forze americane nella regione ha lo scopo di dissuadere l’Iran dall’intervenire, piuttosto che intensificare l’escalation.
Parallelamente, Blinken ha espresso la sua preoccupazione per l’aumento della violenza dei coloni israeliani in Cisgiordania, un tema che potrebbe minare ulteriormente la stabilità della regione. Durante la sua visita, ha chiesto esplicitamente a Israele di fermare queste aggressioni, un segnale che l’amministrazione Biden è consapevole delle tensioni interne alla società israeliana e dei rischi di un’escalation anche in Cisgiordania.
Nonostante il clima di incertezza e le numerose difficoltà, i prossimi giorni saranno cruciali per capire se la proposta americana possa davvero portare a un cessate il fuoco e alla liberazione degli ostaggi. Blinken proseguirà il suo tour diplomatico in Egitto e Qatar, cercando di ottenere l’appoggio dei mediatori regionali per fare pressione su Hamas. Al Cairo, in particolare, si terranno incontri chiave con i mediatori egiziani, che hanno un’influenza significativa su Hamas.
Nel frattempo, la situazione sul campo resta critica. I combattimenti a Gaza continuano, con nuovi civili palestinesi uccisi nei bombardamenti israeliani e la morte di un soldato israeliano. In Cisgiordania, Hamas ha rafforzato le sue forze, annunciando la ripresa degli attentati terroristici in Israele. Solo pochi giorni fa, un militante kamikaze ha tentato un attacco a Tel Aviv, rimanendo ucciso per un errore durante l’operazione. Questo episodio, insieme all’annuncio della costituzione di nuovi battaglioni armati in Cisgiordania, fa temere un’ulteriore escalation della violenza.
Non meno preoccupante è la situazione al confine con il Libano, dove la milizia sciita di Hezbollah continua a rappresentare una minaccia per Israele. La morte di due combattenti di Hezbollah ha ulteriormente inasprito le tensioni, mentre le forze israeliane mantengono alta l’allerta per un possibile attacco missilistico da parte dell’Iran.
L’incontro tra Blinken e Netanyahu segna un momento importante nei negoziati per la tregua a Gaza, ma il percorso verso una pace duratura resta irto di ostacoli. La disponibilità di Israele ad accettare la proposta americana è un segnale positivo, ma l’opposizione di Hamas e le tensioni sul campo complicano il quadro. Nei prossimi giorni, i negoziati continueranno in Egitto e Qatar, ma il successo di questi sforzi dipenderà dalla capacità delle parti di fare concessioni reciproche e di trovare un compromesso accettabile per entrambe.
In un contesto di crescente violenza e tensioni regionali, la finestra di opportunità per un accordo si sta restringendo. La diplomazia internazionale, guidata dagli Stati Uniti, dovrà lavorare senza sosta per mantenere viva la speranza di una tregua, consapevole che il fallimento potrebbe portare a una nuova spirale di conflitto con conseguenze devastanti per la regione e oltre.