Politica

Israele al voto, quarta volta in due anni. Netanyahu punta a maggioranza, ma il quadro è incerto

Domani, per la quarta volta in due anni, gli israeliani tornano alle urne per le elezioni politiche, sperando di rompere una “spirale” elettorale che sembra non avere fine e una situazione di stallo politico che ha lasciato il Paese senza un budget nazionale durante una pandemia. Ancora una volta, i partiti che partecipano alle elezioni si sono divisi in due schieramenti: uno pro-Netanyahu, l’altro contro. Benjamin Netanyahu, che punta a prolungare ulteriormente il suo attuale record di 12 anni consecutivi come primo ministro, ha ormai polarizzato la politica israeliana diventando il principale argomento della campagna. E il voto di domani appare anche in questa edizione come un ennesimo referendum per l’attuale premier.

Il leader del Likud spera che il programma di vaccinazione in cui Israele è leader a livello mondiale per il numero di vaccinati – più della metà della popolazione è stata già immunizzata contro il Covid – che ha aiutato il Paese a riaprire negli ultimi giorni, darà a lui e ai suoi alleati di destra, estrema destra e religiosi un vantaggio e la maggioranza stabile su cui non è riuscito a mettere le mani nelle tre precedenti tornate elettorali. Netanyahu ha puntato tutto sui vaccini al punto che c’è chi dice che non ha fatto “campagna elettorale”, ma ha fatto “campagna vaccinale”. Ma Bibi, il nomignolo del premier israeliano, punta anche sui successi delle normalizzazioni con i Paesi arabi, principale baluardo, secondo lui, contro il nemico giurato di Israele, l’Iran. Grande assente la questione israelo-palestinese che in questo momento, non sembra un issue neanche per la maggior parte della popolazione, messa a dura prova dalla pandemia e dalla difficile situazione economica che ne è derivata.

I partiti di opposizione sperano che i guai con la giustizia di Netanyahu – che è sotto processo per accuse di corruzione – spinga gli elettori a detronizzarlo – in Israele è ormai chiamato “the King” – definitivamente. In realtà, però, i sondaggi mostrano che nessuno dei due blocchi ha un percorso chiaro verso la maggioranza, pari a 61 seggi della Knesset su un totale di 120, lasciando molti israeliani a prepararsi per un altro risultato inconcludente e finanche ad una possibile quinta elezione nel corso dell’anno. Anche se Netanyahu appare in posizione di forza, di fatto i partiti Yamina e in misura minore il partito arabo “separatista” Ra’am, che non hanno dichiarato il sostegno per nessuno dei due blocchi, dovrebbero fare da ago della bilancia.

In particolare i nove seggi attribuiti a Yamina, partito anche lui di destra, potrebbero dare al blocco anti-Netanyahu una coalizione e, insieme a Raam, potrebbero entrambi darne una al blocco pro-Bibi, guidato dal Likud che resta il primo partito con i sondaggi che gli attribuiscono una trentina di seggi. Un sondaggio di Channel 13 e Channel 12 prevede che il blocco pro-Netanyahu vincerà 60 seggi, uno meno del quorum necessario per formare un governo, ma solo se Yamina, guidato da Naftali Bennett, deciderà di appoggiarlo. Bennett, ex ministro della Difesa e finora è rimasto muto sulla possibilità di sostenere un governo guidato da Netanyahu, e ha detto che si considera un candidato a primo ministro. Anche se in molti non credono che messo di fronte alla realtà, alla fine riesca a voltare le spalle a Netanyahu.

I partiti che hanno assicurato di sostenere Netanyahu come primo ministro sono i partiti ultraortodossi Shas e United Torah Judaism e il partito di estrema destra del sionismo religioso di Bezalel Smotrich. Raam, l’altro partito arabo separatista a vocazione islamista, potrebbe accettare di sostenere Netanyahu. Il premier, secondo molti, pur di sfuggire al processo in corso per corruzione, ha apertamente corteggiato il leader arabo di Ra`am, Mansour Abbas – una ipotesi impensabile fino ad oggi – riuscendo a spaccare il fronte dei partiti arabi e a portarselo dalla sua parte, deciso al tutto e per tutto pur di ritagliarsi una maggioranza che gli consenta di partorire la tanto agognata legge a garanzia dell’immunità durante il mandato. Secondo molti proprio questa sua ostinazione, non lo farebbe cedere neanche di fronte ad una possibile quint elezione

Il blocco anti-Netanyahu, guidato da Yair Lapid del partito centrista Yesh Atid, comprende il partito separatista New Hope di Gideon Saar, il partito laburista israeliano, Yisrael Beteinu di Avigdor Lieberman, Meretz, Blu e Bianco di Benny Gantz, l’alleanza della lista congiunta di partiti prevalentemente arabi. Sebbene non sia del tutto chiaro a chi toccherebbe lo scettro di primo ministro, l’ex giornalista ormai da quasi 10 anni in politica Yair Lapid è il più papabile. Si è presentato come un`alternativa onesta e professionale a Netanyahu che ha criticato per la iniziale gestione della pandemia di coronavirus. Ma sulla carta non si è tirato indietro neanche Gideon Sa’ar leader di New Hope, fondato lo scorso dicembre con altre personalità che si sono staccate dal partito di Netanyahu che ritengono necessario un avvicendamento al vertice del governo.

Ma tutto ancora una volta dipenderà dall’ago della bilancia delle trattative per un governo, alias Naftali Bennet, capo di Yamina, partito nazionalista di destra, che è stato ministro con Netanyahu e si dipinge come il primo ministro della prossima generazione. Anche se in molti non credono che messo di fronte alla realtà, alla fine riesca a voltare le spalle a Netanyahu. Resta il fatto che alla luce dell’incertezza dei sondaggi a cui si aggiunge una insolita alta percentuale di indecisi, potrebbero volerci settimane o forse mesi per la formazione di un nuovo governo e in qualsiasi momento la maggioranza della Knesset potrebbe votare per lo scioglimento di nuovo, provocando la quinta elezione. askanews

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