Presentato in anteprima alla Festa del Cinema di Roma 2024 e ora pronto a sbarcare nelle sale, Itaca – il ritorno di Uberto Pasolini si immerge nel cuore oscuro del mito omerico, raccontando il ritorno a casa di Ulisse come un viaggio interiore tra colpa, identità perduta e riscatto. Con Ralph Fiennes nei panni di un Odisseo fragile e lacerato, Juliette Binoche come una Penelope austera e Claudio Santamaria nel ruolo del fedele Eumeo, il film sfida le aspettative epiche per esplorare una dimensione umana, quasi spogliata di eroismo.
La pellicola si apre sull’immagine di un uomo nudo, graffiato dal tempo e dal mare, che approda a Itaca dopo decenni di assenza. Non c’è bottino di guerra, né trionfo: solo un corpo segnato e una coscienza appesantita dai sensi di colpa. Fiennes interpreta un Odisseo anziano, emaciato, costretto a confrontarsi con un regno in rovina, invaso dai Proci—masnadieri grotteschi e violenti—e una famiglia allo stremo: Penelope (Binoche), ritratta in un lutto silenzioso e ostinato, e Telemaco (Charlie Plummer), figlio ribelle in cerca di un padre mai conosciuto.
Pasolini sceglie di concentrarsi sul momento più buio del nostos, quello in cui l’eroe, non riconosciuto nemmeno dalla moglie, si nasconde nella capanna del porcaro Eumeo (Santamaria), ricostruendo lentamente la propria forza fisica e morale. La suspense, come nell’originale omerico, risiede nell’attesa: quando Odisseo impugnerà l’arco per compiere la vendetta? La risposta arriva in un climax di violenza quasi rituale, dove il sangue lava via l’umiliazione, restituendo al re la sua identità.
Girato tra Corfù e il Peloponneso, Itaca – il ritorno abbraccia un’estetica volutamente scabra, lontana dagli eccessi barocchi del cinema storico contemporaneo. Niente costumi sfarzosi o scenografie digitali: qui dominano sandali consumati, teli di lino grezzo, corpi maschili esposti in tutta la loro fisicità—un omaggio alla grecità arcaica, ma anche un rifiuto delle metafore moderne. Pasolini evita allegorie sul presente, preferendo immergere lo spettatore in un passato mitico eppure tangibile, dove ogni gesto—dal tessere della tela di Penelope al gesto di Odisseo che tende l’arco—è carico di simbolismo ancestrale.
La regia, attenta ai primi piani ieratici—specie nei volti scavati di Fiennes e Binoche, riuniti dopo 28 anni da Il paziente inglese—gioca con contrasti luminosi e ombre lunghe, mentre la colonna sonora minimalista amplifica il silenzio carico di tensione.
Non mancano le ombre. La prima parte del film, concentrata sul riadattamento psicologico di Odisseo, rischia di cadere in una verbosità didascalica, con dialoghi che talvolta strizzano l’occhio a un edipismo radicale (il rapporto Telemaco-Penelope sembra uscito da un saggio di Recalcati). I Proci, seppur efficaci come figure grottesche, sconfinano nel caricaturale, ricordando cattivi da opera lirica più che antagonisti credibili.
Ma è nella seconda metà che il film trova la sua essenza. La sequenza del banchetto finale, con Odisseo che scaglia frecce implacabili tra i Proci ubriachi, è un crescendo di ferocia e poesia. Fiennes, qui, rivela tutta la sua maestria: il passaggio da mendicante fragile a sovrano vendicativo è reso senza un grammo di retorica, mentre Binoche, seppur con meno spazio, incarna una Penelope che nella resistenza passiva trova la sua forma di potere.
Itaca – il ritorno non è un film per chi cerca l’epica tradizionale. Pasolini sceglie la strada della riflessione introspettiva, trasformando il viaggio di Odisseo in una metafora sulla vecchiaia, sul fallimento e sulla difficoltà di riconoscersi—e farsi riconoscere—dopo aver perduto tutto. Con coraggio, il regista rinuncia alle lusinghe del blockbuster per abbracciare una bellezza ruvida, quasi scomoda, che lascia allo spettatore il peso di interrogarsi: cosa resta di un eroe quando la gloria è solo un ricordo?
La risposta, forse, è nelle ultime inquadrature: Itaca riconquistata, ma non più la stessa. Come Odisseo, anche la sua terra porta le cicatrici del tempo. E forse, suggerisce Pasolini, è proprio in quelle ferite che si nasconde la vera vittoria.