Italiani rapiti in Libia: abbiamo rischiato grosso, non torneremo più lì’
Dal deserto libico al tepore delle proprie case in Italia. E’ una domenica di festa per Danilo Calonego (foto)e Bruno Cacace (foto sx), i tecnici della Con.I.Cos. liberati ieri dopo 55 giorni di sequestro nel Fezzan. E, col sollievo di essere vivi, c’è anche la promessa fatta dai due all’unisono ai propri familiari: “laggiù non ci torniamo più”. Intanto, proseguono gli accertamenti della procura di Roma che ieri ha sentito per sette ore Calonego e Cacace. Nel mirino dei magistrati potrebbe finire l’azienda cuneese per non aver fornito adeguata protezione ai suoi dipendenti. “Se torno in Libia le mie figlie mi sparano, non posso tornare”, ha detto Cacace ai cronisti nel cortile di casa a Borgo San Dalmazzo (Cuneo). Con lui la figlia Stefania e la mamma, Maria Margherita Forneris. “Io piango poco, ma le mie figlie hanno pianto molto”, ha aggiunto il tecnico, spiegando di “star bene e di avere dormito questa notte”. Cacace ha poi ricostruito le fasi del rapimento.
“Ho capito subito – ha rilevato – che non volevano solo la macchina, ho capito subito che era un’altra cosa. Fortuna che siamo qui a raccontarlo. Quando ci hanno preso eravamo bendati, dopo no. Non abbiamo subito nessun maltrattamento, stavamo relativamente bene in relazione alla situazione in cui eravamo. Mangiavamo anche bene, colazione al mattino, pranzo alle 15.30 e cena a mezzanotte. Gli orari erano sfasati, ma c’era molto da mangiare, cibo libico ma anche pasta e riso e penso anche di essere ingrassato. In certe situazioni si pensa a tutto meno che alla famiglia, perché pensare alla famiglia è dura. Si pensa ad altro e il tempo passa”. Sulla stessa linea il collega Calonego, rientrato nella sua casa a a Peron di Sedico (Belluno). “L’ho proprio scampata. Stavolta – ha detto – ho rischiato grosso. Potevo rimetterci la vita. Non ci torno più. E’ la decisione finale. Adesso mi godo la famiglia”. Nella voce dell’uomo la tensione si è ormai stemperata nella felicità di poter riabbracciare la famiglia e rivedere l’anziana madre, che non ha mai saputo del suo rapimento.
“E’ il pensiero della mamma, della famiglia, che in quei momenti ti conforta e ti tiene su”. Nel frattempo, il sito libico Alwasat riporta una dichiarazione del portavoce del Consiglio presidenziale del Governo di accordo nazionale, Ashraf Al-Tholthi, che sottolinea il ruolo importante svolto dalla collaborazione tra le autorità libiche e quelle italiane, in coordinamento con le tribù del Fezzan, grazie all’aiuto sul terreno del vicecomandante della Guardia presidenziale, Mohamed al Lakri. In particolare, Al Tholthi segnala che il covo dei rapitori nel deserto è stato individuato con l’aiuto di strumentazione tecnologica nel quadro della cooperazione di sicurezza italo-libica per la protezione delle frontiere. Il riferimento potrebbe essere ad impianti radar, satellitari e di intercettazione delle comunicazioni che sono stati utilizzati per cercare gli ostaggi. Il portavoce parla poi di “pressione sociale” e di “negoziati” con le tribù per far liberare i tre, in seguito ai quali si è stabilita “l’ora x” alle 22 di venerdì scorso. Le forze del Consiglio presidenziale sono così arrivate sul posto dopo che i rapitori erano fuggiti ed hanno trovato gli ostaggi in buona salute.