Italicum, voto spaccatutto. Divisa anche FI. Civati verso l’addio al Pd
Verdiniani e fittiani ancora contro Brunetta. E tra della minoranza Dem in 45 bocciano il premier Renzi
di Daniele Di Mario
L’Italicum, grazie alla clausola di salvaguardia, entrerà in vigore il primo luglio del 2016. Fino a quella data non sarà utilizzabile – e quindi, in teoria, non si potrà andare a votare prima dell’autunno del prossimo anno. Eppure, la nuova legge elettorale aprovata dalla Camera comincerà a produrre i pripri effetti sul Parlamento già da oggi o, al più tardi, subito dopo le regionali el 31 maggio. Perché il voto sull’Italicum ha prodotto talmente tante fratture all’interno dei partiti e dei gruppi parlamentari, che è impensabile che prima o poi i nodi non verranno al pettine e che, già prima di entrare in vigore, la riforma elettorale finirà per incidere sulla geografia politica parlamentare. È vero, la maggioranza di governo regge. Ma dietro quei 61 voti contrari si celano attriti difficilmente ricomponibili. Non solo nel Pd. Certo, il campo democratico esce malconcio. Per la prima volta, dopo tre fiducie in cui ha prferito uscire dall’Aula, la minoranza Dem trova il coraggio di votare apertamente contro il governo.
Nonostante lo scrutinio segreto chiesto da FI e Lega, è certo che tutti i big dell’opposizione interna (Pier Luigi Bersani, Enrico Letta, Gianni Cuperlo, Rosy Bindi, Stefano Fassina) e con loro un’altra quarantina di deputati Pd votano contro il governo guidato dal proprio segretario. L’Italicum ottiene 334 voti, alla prima fiducia furono 352. La maggioranza cioè perde 18 voti. Nel Pd, che parte da 310 deputati, fanno sapere che le assenze giustificate sono 7: in Aula 303 i deputati Dem presenti. Sempre dai calcoli fatti dal Pd, i dissidenti interni si attestano tra i 40 e i 45. Cresce, quindi, di qualche unità il fronte della minoranza dem, rispetto ai 38 delle tre fiducie. Astenuti nel Pd Marilena Fabbri, Antonella Incerti e Donata Lenzi. Non partecipano al voto i due prodiani Sandra Zampa e Franco Monaco e i bersaniani Michela Marzano, Giacomo Portas e Davide Zoggia. Dal Pd fanno sapere che si tratta di tutte “assenze giustificate”. Pippo Civati annuncia: “Non sosterrò più il governo” e ipotizza la formazione di un gruppo autonomo, preannunciando l’uscita dal Pd.
Ma il voto sull’Italicum muta i rapporti anche all’interno della maggioranza di governo. Lorenzo Dellai – capogruppo di Per l’Italia-Centro democratico – chiede, archiviato con lealtà il via libera alla riforma elettorale, di cominciare a costuire la nuova architettura politica del Paese, cioè un campo democratico che contempli tanto il Pd quanto le forze di maggioranza alleate. Condizione imprescindibile visto che l’Italicum prevede il premio alla lista e il Pd di Renzi dovrà scegliere tra essere un Partito della nazionale che annette forze politiche e un partito-lista d’impostazione neolulivista capace di aggregare culture politiche diverse su valori e programmi condivisi. Mugugni anche in Scelta Civica, che rivendica l’indispensabilità e l’affidabilità dei propri parlamentari. “Senza di noi il governo va a casa”, minaccia Enrico Zanetti. Ma è Forza Italia la formazione politica che, insieme al Pd, esce maggiormente squassata dal vosto sulla riforma elettorale. Le opposizioni, infatti, abbandonano l’Aula e scelgono l’Aventino, non prima di aver chiesto lo scrutinio segreto, nell’ultimo tentativo – complice l’aiuto della minoranza Pd – di mettere in atto un blitz, che non riesce. FI è in prima fila a guidare la pattuglia degli aventiniani, ma le tensioni non mancano. Sin dalla mattina, infatti, il capogruppo Brunetta annuncia che gli azzurri non parteciperanno al voto. Le altre forze di minoranza riflettono e poi s’accodano. Il malumore interno ai forzisti si fa sentire subito: abbandonare l’Aula della Camera è una scelta sbagliata e controproducente, accusano verdiniani e fittiani.
Tanto che durante la discussione sugli ordini del giorno, che precedono il voto finale, una ventina di deputati di FI disattendono le direttive del gruppo e restano in Aula. Brunetta minimizza. Alla fine, però, sono diversi gli azzurri presenti al momento del voto finale: tra questi, Francesco Paolo Sisto, in qualità di presidente della commissione Affari costituzionali, e Francesco Saverio Romano, fittiano della prima ora che annuncia pubblicamente il suo voto contrario all’Italicum. “Resto in Aula, perché credo in una democrazia parlamentare avanzata – dice Romano – Ritengo che questa sovranità del popolo che gli appartiene deve restare al popolo e il governo, anche sbagliando, deve poter fare il suo lavoro e le opposizioni non possono sostituirsi alle scelte del popolo”. Presente nell’emiciclo senza votare Luca D’Alessandro, verdiniano, che spiega: “È stato uno sbaglio lasciare l’Aula. Abbiamo dato a Renzi la possibilità di dimostrare plasticamente con 334 sì che può contare su una maggioranza senza la minoranza Pd…”. Nel mirino di verdiniani e fittiani (che disertano la riunione di gruppo delle 10.30 alla quale partecipano solo i lealisti) torna, dunque, la gestione Brunetta, ma il capogruppo alla Camera assicura di aver seguito le indicazioni concordate con Silvio Berlusconi.