Politica

Johnson favorito per il dopo May, rischio di Brexit dura

L’ex sindaco di Londra Boris Johnson è dato per favorito nella corsa alla nuova leadership del Partito Conservatore britannico, ed è quindi piuttosto probabile che diventi il prossimo premier del Regno Unito. Quest’eventualità comporterebbe sicuramente un profondo cambiamento di stile nei negoziati per la Brexit, e un rischio considerevolmente alto di un’uscita dall’Ue senza accordo. Figlio di un ex funzionario europeo, Johnson ha vissuto a lungo a Bruxelles, dove negli anni ’90 è stato anche corrispondente del Times e del Daily Telegraph, e ha fatto tutti gli studi del tradizionale curriculum dell’élite anglosassone, da Eton a Oxford; molto “British”, e fiero di esserlo, ma anche molto “sui generis”: non ha l’atteggiamento snob, e neanche l’accento “posh”, di tanti suoi concittadini altolocati, come l’altro leader Brexiteer conservatore, Jacob Rees-Mogg.

Boris, come lo chiamano tutti (come dire che si fa dare del tu da chiunque, in una lingua che usa lo stesso pronome per “tu” e “noi”), sembra sempre appena uscito da un pub: è spiritoso, “popolare”, auto ironico e divertente, spregiudicato e intelligente. I suoi riferimenti culturali e storici sono la cultura classica greco-romana, Shakespeare, l’Inghilterra vittoriana, il suo amatissimo Churchill e, naturalmente, lo humour surrealista dei Monty Python. Da buon ex allievo di Eton, è un nostalgico della “Rule Britannia” vittoriana, crede nel destino imperiale britannico, nel Commonwealth e nell’indefettibile amicizia con gli Stati Uniti. E pensa davvero che, liberato dai lacci e laccioli dell’Ue, il Regno Unito sarà “great again”, sfruttando in pieno l’egemonia della cultura e della lingua anglosassone nel commercio e nella finanza internazionale, e approfittando al massimo dell’economia globalizzata e dell’abilità britannica nel “rebranding”, ovvero l’acquisto di prodotti a prezzi stracciati da paesi senza norme sociali e ambientali rigorose, per dargli un “brand” inglese e poi rivenderli sui mercati delle economie ricche incamerando tutto il valore aggiunto.

In un’intervista al Sunday Times, domenica scorsa, ha già fatto capire quale sarebbe il suo stile negoziale: se sarà premier, ha detto, non pagherà all’Ue il “conto del divorzio”, i 39 miliardi di euro che Londra si era impegnata a versare al bilancio comunitario per il periodo 2014-2020, a meno che l’Ue non accetti di rinegoziare in termini più favorevoli agli inglesi l’Accordo di recesso, già approvato dai Ventisette e dalla premier britannica dimissionaria, Theresa May, ma bocciato poi quattro volte dalla Camera dei Comuni. Che cosa significa termini più favorevoli? Per Johnson significa soprattutto eliminare il “backstop” irlandese, la clausola di garanzia volta a impedire il ritorno di una frontiera “dura” fra Repubblica irlandese e Irlanda del Nord e a preservare gli accordi che hanno messo fine alla guerra civile. Di fatto il “backstop”, mantenendo l’Irlanda del Nord legata alle norme del mercato unico e all’Unione doganale dell’Ue, spingerebbe il resto del Regno Unito a fare altrettanto per evitare di creare una barriera commerciale al proprio interno, e impedirebbe ai britannici la piena libertà di commercio, che per Johnson dovrà essere il primo e fondamentale vantaggio della Brexit.

Con lui, il rischio di un’uscita del Regno Unito dall’Ue senza accordo, il 31 ottobre, diventerebbe altissimo. Ha già promesso che, se sarà il nuovo premier, non intende assolutamente chiedere ai Ventisette nuove proroghe dei negoziati per la Brexit. Ed è chiaro che, per lui, l’uscita senza accordo è preferibile all’Accordo di recesso, proprio perché restituirebbe a Londra i pieni poteri nei negoziati commerciali con il resto del mondo. D’altra parte, Johnson condivide solo in parte l’altra più forte motivazione dei Brexiteer: la volontà di chiudere le frontiere nazionali all’immigrazione “povera” dal resto dell’Ue. Ha già detto che sarebbe favorevole a un accordo specifico per la salvaguardia dei diritti dei cittadini Ue residenti in Gran Bretagna, e senza neanche chiedere, in cambio, una salvaguardia analoga per i cittadini britannici nell’Ue; una reciprocità che comunque sicuramente otterrebbe da tutti gli Stati membri. Quel che è certo è che, con lui al comando a Londra, gli europei dovrebbero rivedere tattiche e strategie del negoziato con il Regno Unito; e non è detto che riuscirebbero a evitare il “no-deal”, la Brexit senza accordo, oppure una riapertura dell’Accordo di recesso, che hanno ripetuto finora all’infinito di non voler rinegoziare. askanews

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