Cronaca

Radovan Karadzic condannato all’ergastolo, le Madri Srebrenica si abbracciano.

La corte d’appello internazionale ha respinto il ricorso dell’ex leader politico dei serbi di Bosnia Radovan Karadzic contro la condanna a 40 anni di carcere inflittagli nel 2016 e ha deciso di aumentare la pena all’ergastolo. A stabilire la sentenza è stato l’International Residual Mechanism for Criminal Tribunals (IRMCT) dell’Aia, una corte Onu che si occupa dei casi dell’oggi defunto Tribunale penali internazionale per l’ex Jugoslavia. Originario del Montenegro, Radovan Karadzic, che oggi ha 73 anni, è stato arrestato a Belgrado il 21 luglio del 2008, dopo una lunga latitanza in Serbia. Durante l’ultima fase della sua latitanza ha assunto un falso nome – quello di Dragan Dabic – ed ha impartito lezioni di medicina alternativa, sfruttando la sua laurea in psichiatria.

Pochi giorni dopo il suo arresto, Karadzic è stato estradato al Tribunale penale internazionale Onu dell’Aia, che da anni aveva avviato un processo a suo carico, in contumacia. L’ex presidente della Republika Srpska, entità serba di Bosnia durante la guerra degli anni Novanta, era stato condannato in primo grado il 24 marzo del 2016 a 40 anni di reclusione per dieci capi di imputazione di genocidio, crimini di guerra e contro l’umanità, compresa la pianificazione dell’eccidio Srebrenica, dove nell’estate del 1995 le truppe serbo-bosniache trucidarono circa 8.000 musulmani in un’enclave “sicura”, protetta dai caschi blu olandesi dell’Onu. Secondo il tribunale Onu per i crimini di guerra dell’ex Jugoslavia, oggi smantellato, Karadzic e gli altri leader serbi di Bosnia si macchiarono di “reati sistematici e organizzati contro i musulmani di Bosnia e i croati di Bosnia”.

Per i giudici Onu Karadzic ebbe responsabilità anche nell’assedio di Sarajevo, campagna di bombardamenti e cecchinaggio durata oltre tre anni nella quale perirono diecimila civili. Dopo la condanna di Karadzic, ora resta in attesa della sentenza definitiva il “boia di Srebrenica”, il generale Ratko Mladic. Quest’ultimo è stato condannato in primo grado alla pena dell’ergastolo il 22 novembre 2017, per genocidio e crimini contro l’umanità.

All’Aja, in occasione della sentenza di appello, erano arrivate le Madri di Srebrenica, parenti delle vittime bosniache e rappresentanti di altre associazioni e organizzazioni bosniache. Le madri di Srebrenica, in particolare, hanno salutato con soddisfazione e grande emozione la condanna all’ergastolo di Radovan Karadzic: sono uscite per strada e si sono abbracciate con le lacrime agli occhi.  L’annuncio della condanna all’ergastolo di Radovan Karadzic e’ stata salutata con applausi dai circa 300 rappresentanti della comunita’ accademica di Sarajevo che seguivano la diretta dall’Aja nel palazzo della Biblioteca Nazionale di Sarajevo.

Srebrenica e Sarajevo, i mattatoi della Bosnia

Srebrenica e Sarajevo, i peggiori massacri della guerra che insanguino’ la Bosnia, portano entrambi la firma di Radovan Karadzic e Ratko Mladic, entrambi condannati all’ergastolo, il primo oggi in appello e il secondo nel 2017, dal Tribunale penale internazionale per l’ex-Jugoslavia.

SREBRENICA: l’enclave musulmana e’ divenuta tristemente nota per il massacro compiuto dalle forze serbo-bosniache contro la popolazione. Il bilancio finale fu di oltre 8mila morti, tutti i maschi fra i 14 e i 65 anni, che vennero divisi dalle donne, uccisi e sepolti in fosse comuni. La presenza delle forze Onu in citta’ non servi’ a scongiurare la carneficina. Il 9 luglio del 1995 l’esercito serbo-bosniaco, guidato da Ratko Mladic e seguendo le direttive dell’allora presidente della Repubblica serba di Bosnia, bombardo’ la citta’ e due giorni dopo entro’ nell’abitato di Srebrenica, di fronte al non-intervento dei caschi blu. Il genocidio si consumo’ nel giro di due settimane con rastrellamenti, uccisioni, stupri e fughe in massa di donne, vecchi e bambini verso Tuzla. Per cancellare le tracce del massacro, i resti delle vittime furono disseppelliti e dispersi nei boschi.

SARAJEVO: 44 mesi, dal 5 aprile 1992 al 29 febbraio 1996, tanto e’ durato l’assedio alla capitale bosniaca, il piu’ lungo del Novecento. Dalle colline intorno alla citta’ le truppe serbo-bosniache di Mladic martellarono ogni giorno con violenti bombardamenti la citta’ e dove non arrivarono le bombe, c’erano i cecchini. Il bilancio finale fu di oltre 10mila morti, fra i quali 1.500 bambini, e 50mila feriti, in stragrande maggioranza civili, colpiti mentre facevano la fila per il pane e l’acqua o andavano al mercato, come quello di Markale, divenuto tristemente famoso. Danni incalcolabili anche al patrimonio della citta’, a cominciare dalla Biblioteca Nazionale, bruciata completamente insieme a migliaia di testi irrecuperabili.

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