C’è una nuova frontiera per la penetrazione dello Stato islamico (Isis): il Kashmir. La provincia himalayana contesa tra India e Pakistan è teatro di un pluridecennale conflitto e diversi segnali fanno pensare che quest’ultimo stia assumendo una nuova dimensione, quella religiosa. Oggi il Guardian racconta che Zakir Musa (foto), il ventiduenne comandante di un’importante milizia anti-indiana, ha esplicitamente preso le distanze dalla vecchia guardia del movimento indipendentista, dichiarando che la sua lotta è “esclusivamente per l’Islam, perché la Sharia (la legge islamica) sia qui stabilita”. Queste dichiarazioni sono emerse sui social media frequentati dal mondo variegato dei jihadisti e, a dire del quotidiano britannico, sono il segnale di un nuovo conflitto ideologico e generazionale tra la vecchia e la nuova guardia dei militanti attivi nel Kashmir indiano. Musa, a dispetto della giovane età, è un personaggio di statura importante. E’ succeduto a Burhan Wani, il terrorista del gruppo Hizbul Mujahideen ucciso a luglio dello scorso anno in un conflitto a fuoco con le forze di sicurezza indiane. Wani è stato un leader giovane e spavaldo, che ha fatto proselitismo via internet usando i metodi tipici dell’Isis per propagandare la jihad. Il richiamo islamista ha immesso carburante nel conflitto che si trascina ormai da 70 anni. La nuova ondata di violenze, che è costata già molte vite, è molto legata all’opzione pan-islamista, piuttosto che al classico richiamo indipendentista filopachistano.
Nei video di Wani venivano inseriti in pieno stile Isis versetti del Corano e il giovane leader arrivava a dire che l’obiettivo finale della lotta è istituire il Califfato “non solo in Kashmir ma nel mondo intero”. Alla morte del giovane jihadista vi furono violenze in tutto il Kashmir che paralizzarono la provincia ed ebbero come obiettivo non solo gli agenti indiani, ma anche le minoranze interne. Segno di un sostegno ampio nella popolazione. Le forze di sicurezza fecero decine di morti e molti feriti. I combattenti dichiaratamente dell’Isis sono ancora solo 210, ma il sostegno tra i residenti sta crescendo. E questo risponde agli auspici dello stesso Stato islamico. Il Times of India mesi fa ha raccontato che membri dell’organizzazione jihadista di diversi Paesi hanno scritto che “il Kashmir sarà Stato islamico, inshallah!” nelle loro chat. Queste conversazioni sono state individuate su un telefono sequestrato da un sostenitore dell’Isis finito sotto processo. L’Isis in Kashmir rischia di trovare terreno fertile anche per un altro motivo. La vecchia guardia indipendentista è divisa già dai primi anni ’90 tra il Fronte di liberazione di Jammu e Kashmir (Jklf) e Hizbul Mujahideen. I primi sono per l’indipendentismo da entrambe le potenze contendenti – India e Pakistan – mentre il secondo è per l’annessione al Pakistan. Accanto a questa fragilità, c’è anche l’apparente perdita di grip sulla popolazione da parte della Conferenza Hurriyat dei partiti, la faccia politica della militanza anti-indiana in Kashmir. Il capo dell’Hurriyat, Syed Geelani, ha condannato l’Isis e le stesse violenze scoppiate dopo la morte di Wani, ma ci sono diversi segnali che la popolazione comincia a non seguire più le sue indicazioni, a protestare al di fuori delle convocazioni dell’organizzazione. E, come ha notato l’analista Dhananjay Sahai su The Diplomat, le bandiere nere dell’Isis sostituiscono sempre più quelle verdi del Pakistan nelle manifestazioni di protesta.