Prima Michael Flynn, ora Jeff Sessions. I guai nell’amministrazione statunitense passano tutti per i presunti legami con le autorità di Mosca e tutti conducono a un solo nome: Sergey Kislyak, ambasciatore russo a Washington. Ma chi è l’uomo che ha ‘provocato’ le dimissioni del consigliere per la sicurezza nazionale, Michael Flynn, e ora ha messo al centro delle polemiche Jeff Sessions, il segretario alla Giustizia? Il New York Times ha descritto in un articolo la rete di potere dell’ambasciatore, partendo da una cena organizzata alla fine del 2011 in onore di Michael McFaul, poche settimane prima che prendesse servizio come ambasciatore statunitense a Mosca, durante l’amministrazione Obama. C’erano 50 ospiti, tutti accomunati da una caratteristica: erano funzionari del governo impegnati nella formulazione delle politiche statunitensi nei confronti della Russia, tra cui alcuni alti rappresentanti dei dipartimenti di Stato e Difesa. McFaul disse di “ammirare il fatto che Kislyak cercasse di avere rapporti con tutti” nel governo e la sua capacità di socializzare e intrattenere, ma “sempre con un obiettivo politico”.
La capacità di costruire una vasta rete di relazioni negli ambienti che contano a Washington spiega come Kislyak sia finito al centro di una polemica che non si placherà velocemente negli Stati Uniti. Flynn e Sessions, che ha ammesso di aver parlato con lui in due occasioni, durante la campagna elettorale, sono finiti nei guai per le loro conversazioni con l’ambasciatore; anche il genero di Donald Trump, Jared Kushner, consigliere del presidente, ha incontrato Kislyak durante il periodo di transizione tra la precedente e l’attuale amministrazione. Diplomatico di carriera cresciuto nell’era sovietica, 66 anni, già ambasciatore a Washington negli anni ’80, poi primo rappresentante russo alla Nato, ambasciatore in Belgio ed ex viceministro degli Esteri russo, Kislyak ha interagito per decenni con i funzionari statunitensi ed è da nove anni, da quando è tornato a Washington da ambasciatore, una presenza fissa della scena non solo politica della capitale: gioviale e sorridente, intelligente e preparato, fermo nel difendere la posizione russa; cinico e inflessibile, ma capace di allentare subito la tensione con gli interlocutori, magari accusati di ipocrisia per le loro posizioni sull’Ucraina, proponendo una cena. Un uomo che si è guadagnato il rispetto degli statunitensi, nonostante la sua politica allineata a quella del presidente Vladimir Putin. Lo scorso aprile, Kislyak e altri tre ambasciatori erano in prima fila a un discorso di Trump a una conferenza del Center for the National Interest, un think tank che si occupa di politica estera, invitati dall’organizzazione.
Anche Sessions era lì, ma non si sa se abbia parlato con Kislyak; il segretario alla Giustizia ha ammesso di aver avuto due conversazioni con l’ambasciatore durante la campagna elettorale, ma in qualità – ha detto – di senatore e membro della commissione delle Forze armate, non come rappresentante di Trump. Le polemiche sono scaturite dal fatto che Sessions non ha rivelato questi contatti durante le audizioni al Senato per la sua conferma e hanno spinto il segretario alla Giustizia a farsi da parte sulle indagini federali sui presunti legami tra l’attuale amministrazione statunitense e la Russia durante la campagna elettorale; il sospetto coltivato da molti, infatti, è che Mosca abbia cercato di influenzare l’esito delle elezioni presidenziali statunitensi. Accuse naturalmente respinte dal Cremlino e da Kislyak, che ha dichiarato come sia naturale per un diplomatico partecipare a conferenze e incontri a cui partecipano i politici: “Normale lavoro diplomatico. È il nostro lavoro comprendere, conoscere le persone di entrambi gli schieramenti, repubblicani e democratici. Lavoro da così tanto tempo negli Stati Uniti che conosco quasi tutti”. Oggi, a essere contestato è un comportamento che era evidente a tutti e considerato normale, da democratici e repubblicani.
Per questo, la Russia ha espresso il proprio disappunto per le critiche arrivate dai media statunitensi, secondo cui Kislyak potrebbe persino essere un agente segreto di Mosca. Prima che le tensioni tra Mosca e Washington aumentassero di nuovo con il ritorno di Putin alla presidenza, nel 2012, Kislyak era un ospite popolare dell’amministrazione Obama; man mano che aumentavano le tensioni tra i due Paesi, aumentava però anche il risentimento di Kislyak nei confronti degli Stati Uniti. A una domanda sugli errori della Russia, posta dal pubblico durante una conferenza a cui partecipava, lo scorso anno, rispose che il problema più serio con gli Stati Uniti era la loro convinzione di essere eccezionali. “La differenza tra il vostro eccezionalismo e il nostro è che noi non cerchiamo di imporlo a voi, ma voi non esitate a imporlo a noi. È qualcosa che non apprezziamo”. Lascerà probabilmente Washington a breve, forse per il nuovo incarico di responsabile per l’antiterrorismo alle Nazioni Unite. Sbagliato, però, sarebbe pensare che a cambiare sia stato solo Kislyak: per l’ambasciatore, Washington non è più quella di prima. E si sorprende, perché le persone che una volta cercavano la sua compagnia, ora vogliono stargli lontano.