Gli Stati Uniti si inseriscono nella prova di forza tra la Cina e Hong Kong: i manifestanti della regione autonoma non hanno intenzione di arrendersi e Pechino fa sfilare migliaia di uomini della polizia militare in uno stadio a Shenzen, al confine con Hong Kong, minacciando di essere in grado di “reprimere i disordini rapidamente”. Nel frattempo il presidente americano, Donald Trump, che deve fare i conti con il crollo delle borse e lo spettro della recessione globale dovuti alla guerra commerciale con Pechino, invita il suo collega cinese, Xi Jinping, a dialogare. “Conosco molto bene il presidente cinese Xi. E’ un grande leader che ha un grande rispetto per il suo popolo. E’ anche un uomo buono nelle situazioni difficili. Non ho dubbi che se vuole risolvere il problema di Hong Kong in modo rapido e umano, puo’ farlo”, ha twittato il presidente Usa, che conclude il messaggio con una frase, “Personal meeting?”, che sembra una esortazione ad un vertice con il collega cinese.
In un secondo tweet il capo della Casa Bianca si e’ spinto oltre: “Se il presidente Xi incontrasse direttamente e personalmente i manifestanti, ci sarebbe un lieto e illuminato fine al problema di Hong Kong. Non ho dubbi!”. Non e’ escluso che Trump voglia inserire la carta dell’ex colonia britannica nella lunga negoziazione sui dazi, con la Cina che ha gia’ minacciato nuove ritorsioni in caso di iniziative americane. Il consigliere per la sicurezza nazionale della Casa Bianca, John Bolton, si e’ mostrato ancora una volta meno diplomatico del presidente. La Cina “stia molto attenta a non fare di Hong Kong una nuova Tienanmen”, e’ il monito che ha lanciato. Bolton – riferendosi alla repressione del 1989 nella piazza della capitale cinese e rimasta nella memoria per l’uomo che, solitario, tento’ di fermare i carri armati – ha sottolineato che “sarebbe un grosso errore fare di Hong Kong un ricordo come quello”.
La Cina aveva pero’ avvertito che non “stara’ a guardare” e che e’ pronta a “reprimere i disordini rapidamente” se la crisi di Hong Kong diventa “incontrollabile”. Lo ha assicurato l’ambasciatore cinese a Londra, Liu Xiaoming. “Se la situazione peggiora ulteriormente in disordini incontrollabili, il governo centrale non restera’ a guardare. Abbiamo abbastanza soluzioni e abbastanza potere per reprimere i disordini rapidamente”, ha spiegato in una dichiarazione che – accompagnata dalle immagini delle truppe schierate allo stadio – suona come una minaccia tutt’altro che velata. Nello stadio, secondo quanto accertato da un cronista della France Press, c’erano anche mezzi armati per il trasporto di truppe, il che accresce i timori di un intervento militare cinese per mettere fine a piu’ di 10 settimane di proteste per la democrazia nell’ex colonia britannica, spesso sfociate in violenti scontri tra i manifestanti e la polizia.
Nella versione ufficiale del governo cinese si e’ trattato di un’esercitazione programmata ma tanta coincidenza non puo’ trascinarsi dietro delle preoccupanti perplessita’. Intanto, sul fronte interno, Hong Kong paga anche un prezzo economico delle proteste: il governo ha rivisto al ribasso le stime di crescita e prevede nel 2019 un Pil tra lo 0 e l’1% “a causa dei forti venti contrari”. “Se l’economia di Hong Kong cresce nel terzo trimestre ad un ritmo simile a quello del secondo trimestre, la citta’ entrera’ in una recessione tecnica”, ha spiegato il ministro delle Finanze di Hong Kong, Paul Chan Mo-po, additando le proteste, senza nominarle, come la causa di questa revisione al ribasso. A questo si aggiungono gli annunci di oltre 350 dipendenti pubblici pronti anche loro a scioperare in solidarieta’ con i manifestanti maltrattati dalla polizia.