Stabilizzare l’economia e ristabilire la fiducia degli investitori: sono queste le parole d’ordine che Pechino si è data di fronte a una situazione economica che va deteriorandosi sulla scorta della gravissima crisi del settore immobiliare, delle incertezze di quello finanziario, della montagna di debiti locali e delle incertezze in borsa.
Oggi la Cina ha fatto due mosse. La Banca del popolo cinese (PBoC) – istituto d’emissione – ha rafforzato il suo sostegno alla valuta, il renminbi (yuan), fissando – secondo quanto ha riferito il Financial Times – il punto medio giornaliero, intorno al quale la valuta può oscillare del 2% in entrambe le direzioni, a 7,2006 Rmb per dollaro. Ciò rispetto a una stima media di 7,3047 degli analisti intervistati da Bloomberg. Appare come un’azione in discontinuità con quanto la PBoC ha fatto recentemente. Dopo una serie di dati economici insoddisfacenti, l’istituto d’emissione aveva infatti immesso nel sistema bancario 757 miliardi di renminbi (104 miliardi di dollari) come liquidità a breve: passo, questo, che ha ulteriormente indebolito la valuta, in un momento in cui il dollaro vola. La mossa odierna ha contribuito a rafforzare dello 0,1 per cento il renminbi, portandolo a 7,2825 per dollaro.
L’altra iniziativa odierna è arrivata dalla Commissione centrale per i titoli (Csrc), che regola i mercati borsistici. Riprendendo l’ordine uscito dal Politburo del Partito comunista cinese il 24 luglio, cioè “rassicurare gli investitori”, la commissione ha annunciato che verranno messe in campo una serie di riforme pro-mercato. Tra queste ci potrebbero essere un’estensione delle ore di contrattazione sui mercati azionistici e obbligazionari, un taglio delle tariffe per le transazioni e l’incoraggiamento a fare il buyback per aiutare a stabilizzare i prezzi delle azioni. Questo attivismo viene in una situazione difficile, che ha come suo epicentro il mercato dell’immobiliare. Ieri Evergrande China, il gigante dello sviluppo immobiliare che da anni si trova di fronte a una montagna di debiti (e deve affrontare una raffica di cause giudiziarie) ha presentato a New York istanza di protezione dal fallimento in base al Chapter 15.
Solo nel 2021 e 2022 ha accumulato perdite per 81 miliardi di dollari e ha raggiunto un’esposizione totale di quasi 335 miliardi di dollari. Un debito enorme, che è significativo non solo della crisi Evergrande, ma di tutto il grande settore immobiliare cinese. Sempre oggi un altro gruppo, Soho China, ha denunciato un crollo del suo utile netto del 93 per cento rispetto allo scorso anno, segnalando anche un rischio per la sua sopravvivenza per una vertenza col fisco particolarmente onerosa. Per non parlare dei sonori scricchiolii arrivati dal principale sviluppatore privato, Country Garden Holdings, che ha denunciato nel primo semestre di quest’anno una perdita netta tra 45 e 55 miliardi di yen (6,2-7,5 miliardi di dollari).
Si moltiplicano ormai i progetti “zombie”: cioè le costruzioni che non vengono completate – lasciando anche i clienti per strada – e, secondo gli osservatori, l’andamento demografico della Cina non depone a favore di una prospettiva di ripresa della domanda nel settore delle costruzioni. Le ricadute in termini di incagli e di crediti inesigibili rischiano di provocare un contagio anche per il settore finanziario. Questa situazione incerta pone un’ombra anche sulla possibilità di Pechino di rispettare i suoi target economici per il 2023. Oggi il primo ministro Li Qiang, in un discorso ai membri del Consiglio di Stato (il governo cinese) e i leader provinciali, ha spiegato che il raggiungimento dell’obiettivo di crescvita del Pil del 5% non è un optional.