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La Consulta boccia la riforma Madia: il governo deve ascoltare il territorio. Il Veneto gongola

La Corte Costituzionale dichiara “parzialmente illegittima” la riforma Madia della Pubblica amministrazione. In particolare, nella parte che “prevede che i decreti legislativi attuativi siano adottati previa acquisizione del parere reso in sede di Conferenza unificata, anziche’ previa intesa in sede di Conferenza Stato-Regioni”. La Consulta si e’ pronunciata sul ricorso della Regione Veneto. La pronuncia di legittimita’ riguarda le norme relative all’istituzione del sistema della dirigenza pubblica, la semplificazione normativa, il riordino della disciplina delle partecipazioni societarie, dei servizi pubblici locali di interesse economico generale e del pubblico impiego. La Corte ha circoscritto il proprio scrutinio solo alle disposizioni di delega specificamente impugnate dalla Regione Veneto, lasciando fuori le norme attuative. “Le pronunce di illegittimita’ costituzionale colpiscono le disposizioni impugnate solo nella parte in cui prevedono che i decreti legislativi siano adottati previo parere e non previa intesa”, si legge nella sintesi. La Corte ha respinto i dubbi di legittimita’ costituzionale proposti dalla Regione Veneto nei confronti delle norme recanti la delega a modificare e integrare il Codice dell’amministrazione digitale. “Le eventuali impugnazioni delle norme attuative dovranno tener conto delle concrete lesioni delle competenze regionali, alla luce delle soluzioni correttive che il Governo, nell’esercizio della sua discrezionalita’, riterra’ di apprestare in ossequio al principio di leale collaborazione”, conclude la Consulta.

In questa sentenza, si legge ancora nella sintesi, la Corte afferma – in senso evolutivo rispetto alla giurisprudenza precedente – che l’intesa nella Conferenza “e’ un necessario passaggio procedurale anche quando la normativa statale deve essere attuata con decreti legislativi delegati, che il Governo adotta sulla base di quanto stabilito dall’art. 76 Cost. Tali decreti, sottoposti a limiti temporali e qualitativi e condizionati a tutte le indicazioni contenute nella Costituzione e nella legge delega, non possono sottrarsi alla procedura concertativa, proprio per garantire il pieno rispetto del riparto costituzionale delle competenze”. Alla luce di queste premesse, la Corte ha respinto i dubbi di legittimita’ costituzionale proposti dalla Regione Veneto nei confronti delle norme recanti la delega a modificare e integrare il Codice dell’amministrazione digitale: queste nomre costituiscono, infatti, “espressione, in maniera prevalente, della competenza statale nella materia del ‘coordinamento informativo statistico e informatico dei dati dell’amministrazione statale, regionale e locale’ (art. 117, secondo comma, lett. r.,Cost.), proprio perche’ sono strumentali nell’assicurare una ‘comunanza di linguaggi, di procedure e di standard omogenei, in modo da permettere la comunicabilita’ tra i sistemi informatici della pubblica amministrazione’ (sent. n. 17 del 2004), in vista della piena realizzazione dell’Agenda digitale italiana, nel quadro delle indicazioni provenienti dall’Unione europea”. Assolvono, inoltre, “all’esigenza primaria di offrire ai cittadini garanzie uniformi su tutto il territorio nazionale nell’accesso ai dati personali, come pure ai servizi, esigenza riconducibile alla competenza statale in materia di determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni dei diritti civili e sociali (art. 117, secondo comma, lett. m, Cost.)”.

Riguardo invece, alle norme contenenti la delega al Governo in tema di riorganizzazione della dirigenza pubblica (art.11), la Corte costituzionale ha ravvisato “un concorso di competenze, inestricabilmente connesse, statali e regionali, nessuna delle quali e’ prevalente, in particolare in relazione all’istituzione del ruolo unico dei dirigenti regionali e alla definizione, da un lato, dei requisiti di accesso, delle procedure di reclutamento, delle modalita’ di conferimento degli incarichi, nonche’ della durata e della revoca degli stessi (aspetti inerenti all’organizzazione amministrativa regionale, di competenza regionale), dall’altro, di regole unitarie inerenti al trattamento economico e al regime di responsabilita’ dei dirigenti (aspetti inerenti al rapporto di lavoro privatizzato e quindi riconducibili alla materia dell’ordinamento civile, di competenza statale)”. Quindi, ne ha dichiarato l’illegittimita’ costituzionale, nella parte in cui, pur incidendo su materie di competenza sia statale sia regionale, prevedono che i decreti attuativi siano adottati sulla base di una forma di raccordo con le Regioni, che non e’ l’intesa, ma il semplice parere, non idoneo a realizzare un confronto autentico con le autonomie regionali.

Anche la sede individuata dalle norme impugnate “non e’ idonea, dal momento che le norme impugnate toccano sfere di competenza esclusivamente statali e regionali. Il luogo idoneo per l’intesa e’, dunque, la Conferenza Stato-Regioni e non la Conferenza unificata”. Anche le norme contenenti le deleghe al Governo per il riordino della disciplina vigente in tema di lavoro alle dipendenze delle pubbliche amministrazioni, nonche’ di partecipazioni azionarie delle pubbliche amministrazioni e di servizi pubblici locali di interesse economico generale incidono su una pluralita’ di materie e di interessi, “inscindibilmente connessi, riconducibili a competenze statali (ordinamento civile, tutela della concorrenza, principi di coordinamento della finanza pubblica) e regionali (organizzazione amministrativa regionale, servizi pubblici locali e trasporto pubblico locale)”. La Corte costituzionale ne ha, pertanto, dichiarato l’illegittimita’ costituzionale nella parte in cui, pur incidendo su materie di competenza sia statale sia regionale, prevedono che i decreti attuativi siano adottati sulla base di una forma di raccordo con le Regioni, che non e’ quella dell’intesa, ma quella del semplice parere, non idonea a realizzare un confronto autentico con le autonomie regionali. La previa intesa “deve essere raggiunta in sede di Conferenza Stato-Regioni per l’adozione delle norme attuative della delega in tema di riordino della disciplina del lavoro alle dipendenze delle pubbliche amministrazioni. Anche in tal caso sono in gioco interessi che coinvolgono lo Stato e le Regioni, mentre in sede di Conferenza unificata sono coinvolti anche gli interessi degli enti locali”.

REGIONE VENETO “La riforma Madia, con una insensata logica di centralismo – hanno sostenuto i legali del Veneto di fronte alla Consulta, gli avvocati Luca Antonini e Ezio Zanon – prevedeva che non fosse più la Regione a nominare i direttori generali delle aziende ospedaliere regionali, ma che questi fossero imposti alla Regione da una commissione di nomina governativa. In questo modo alla Regione Veneto avrebbero potuto essere imposti – e la difesa della Regione lo ha evidenziato con vigore – i dirigenti provenienti da regioni altamente inefficienti, minando in radice, davvero senza alcuna adeguata ragione che lo giustificasse, l’eccellenza di un modello che si colloca ai primi posti nella graduatorie internazionali. Con un danno gravissimo alla tutela della salute oggi assicurata ai cittadini dal sistema sanitario veneto”. In questa sentenza – come si legge nel comunicato della Corte costituzionale – “in senso evolutivo rispetto alla giurisprudenza precedente” la Consulta, prendendo atto delle violazioni della Costituzione denunciate dal Veneto, ha precisato che una intesa con le Regioni, “è un necessario passaggio procedurale anche quando la normativa statale deve essere attuata con decreti legislativi delegati”.

E’ quindi stato ritenuto costituzionalmente illegittimo il disposto della riforma Madia che, invece, prevedeva un semplice parere delle Regioni, da rendere entro un tempo molto breve, e tranquillamente superabile in via unilaterale dal Governo. “Di fatto la sentenza ha affermato – spiegano gli avvocati del Veneto – che il Governo non può diventare sordo ai suggerimenti delle Regioni e che non può sottrarsi alle procedura concertative, che sono necessarie per garantire non solo il pieno rispetto del riparto costituzionale delle competenze, ma anche il successo delle riforme. La volontà centralizzatrice intorno alla quale, senza nessuna ragione adeguata (perlomeno riguardo alle realtà regionali efficienti), il Governo aveva impostato tutta riforma Madia esce quindi fortemente ridimensionata. Anche i decreti legislativi già emanati dovranno essere corretti dal Governo, perché la Corte Costituzionale ha imposto di ascoltare seriamente le Regioni”.

LE REAZIONI “La Corte costituzionale ha sostanzialmente bocciato la riforma della pubblica amministrazione nella sua parte attuativa. Per la Consulta, infatti, il tentativo della Madia e del governo di agire da soli senza ascoltare la conferenza Stato-Regioni e’ illegittimo. Nei decreti attuativi si fa riferimento al solo parere degli enti territoriali, mentre per la Suprema Corte e’ indispensabile l’intesa”. Lo dichiara il senatore di Forza Italia, Maurizio Gasparri. “Dopo quella del Veneto – aggiunge – ci sara’ una pioggia di impugnazioni per fermare giustamente i deliri di onnipotenza di questo governo, e il caos sara’ totale. Siamo di fronte a degli incompetenti improvvisatori. Tra una settimana avremo l’occasione di sbarazzarci di questi incapaci”. A dar man forte, il parlamentare FI Renato Brunetta: “#PA Corte Costituzionale ha dichiarato illegittimità di parti consistenti della riforma @mariannamadia. Riforma fallita, fallito @matteorenzi”. C’è anche Susanna Camusso: “La normale conseguenza è che devono cambiare la riforma: i poteri delle autonomie locali non possono essere scavalcati. Evidentemente potevano pensarci prima”, afferma la leader della Cgil.

“Renzi getta la maschera e svela il suo vero volto intollerante e arrogante verso le istituzioni. La decisione della Consulta dimostra che la Costituzione funziona, con i suoi pesi e contrappesi istituzionali, nonostante l’autoritarismo e l’arroganza di questo governo. Renzi, molto probabilmente, pensa di amministrare un condominio anziché un intero Paese. Vuole forse abrogare la Corte costituzionale? Vuole fare e disfare tutto da solo? Abbia più rispetto per le istituzioni previste da quella stessa Carta costituzionale che vuole azzoppare. Anche per questo motivo, per frenare questa deriva autoritaria, occorre votare no il 4 dicembre”. E’ quanto affermano i parlamentari M5S delle commissioni Affari costituzionali di Camera e Senato. “La sentenza della Consulta sulla legge Madia è un ulteriore colpo mortale per l’arroganza di un governo che pensa di soddisfare la sua bulimia accentrando tutto il potere, contro ogni regola, contro ogni principio, contro ogni barlume di rispetto per l’autonomia delle strutture amministrative dello Stato e delle sue articolazioni territoriali – dichiara il senatore Gaetano Quagliariello, presidente di ‘Idea’ -. E la reazione del premier Renzi è la dimostrazione di cosa accadrebbe se dovesse passare la riforma costituzionale che, lungi dal mettere ordine nel rapporto fra Stato, territori e amministrazione, risponde esattamente a questo disegno accentratore”.

Matteo Renzi non può trattare la Corte costituzionale come “un covo di frenatori”, il premier è su “un crinale pericoloso”. Lo ha detto il capogruppo di Sinistra italiana alla Camera, Arturo Scotto. “Insomma per Renzi la sentenza della Consulta sui decreti Madia dimostra che il Paese è bloccato. Dal nostro modesto punto di vista la sua è una dichiarazione sbagliata: non si può trattare anche la Corte costituzionale come un covo di frenatori”. “E’ un crinale pericoloso – prosegue Scotto – quello su cui si avventura il presidente del Consiglio, che rischia di mettere in discussione l’equilibrio dei poteri. Ci vorrebbe più rispetto per gli organi di garanzia e più umiltà nel riconoscere i propri errori”.

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