Opere d’arte di valore inestimabile finite in case d’asta, se non “nel web o perfino nel dark web”. Calici antichi che approdano sui banchi del mercatino romano di Porta Portese. Una navicella per l’incenso del seicento usata per contenere le caramelle. Sono alcuni degli esempi emersi nel corso di una conferenza stampa in Vaticano organizzata per trovare una risposta al fenomeno di quelle che il cardinale Gianfranco Ravasi ha definito “alienazioni improvvide e a volte illecite”, che avvengono ora per lucro ora per ingenuità. L’occasione è stata la presentazione di un convegno intitolato “Carisma e creatività.
Catalogazione, gestione e progetti innovativi per il patrimonio culturale delle comunità di vita consacrata”, che si svolgerà il 4 e 5 maggio 2022, presso l`Auditorium Antonianum. E’ necessaria, ha detto il presidente del pontificio consiglio della Cultura, “una catalogazione sempre più sofisticata”, e dunque informatica e fotografica, per “bloccare le alienazioni improvvide da parte di alcuni ordini religiose, improvvide e a volte illecite. Pensiamo a cosa vuol dire se una congregazione possiede un manoscritto miniato dell’undicesimo secolo: non può tranquillamente metterlo sul mercato attraverso un’azienda d’aste come Sotheby’s, non si possono fare queste operazioni che sono non furti ma autoalienazioni”.
E, così, ha detto Ravasi, “è legittimo sempre desacralizzare, immettere certi beni nel mercato se ci sono le condizioni e se fatto secondo una corretta grammatica, ma non è mai lecito dissacrarli: è capitato anche a me di entrare in salotto di una famiglie perbene e trovarvi oggetti religiosi, liturgici, di qualità, del Cinque-Seicento usati come candelabri… ho mangiato anche caramelle prese da una navicella per l’incenso del Seicento… l’uso deve essere un uso che abbia una certa funzione di dignità”. Il “riuso del patrimonio artistico” deve allora avvenire con criterio, impegnandosi “contro le dispersioni, le alienazioni scandalose che si scoprono sul web o persino il dark web, il che rivela come alcune cose uscite dalle porte dei monasteri e hanno avuto uso distorto, speculativo, privatistico”.
Mons. José Rodríguez Carballo, segretario della Congregazione per gli Istituti di vita consacrata e le Società di vita apostolica, ha aggiunto la sua esperienza: “Molte volte veniamo a sapere di sparizione di un patrimonio significativo quando non c’è più niente da fare.
Abbiamo un caso che in questo momento è in tribunale: almeno si è riuscito a far sì che i carabinieri sono riusciti a riprnedere quasi tutto. Bisogna rispettare le norme canoniche e il permesso lo dobbiamo dare noi, soprattutto quando si tratta du oggetti liturgici, che adesso si trovano in mercati: mi hanno detto a Porta portese si trovano alcuni calici…”.
Il prefetto del dicastero per i religiosi, il cardinale Joaj Braz de Aviz, ha confermato che “ci sono casi dolorosi, con due o tre monache che hanno un enorme patrimonio e decidono che questo patrimonio è loro”. Il segretario, mons. Carballo, ha sottolineato il caso di religiosi ingenui che mettono in vendita il patrimonio artistico, “e arriva un avvoltoio…”. E’ necessaria una migliore formazione, perché “questo patrimonio è tuo ma non è tuo: i beni della Chiesa sono beni della Chiesa, non personali”, ha detto il francescano, che ha messo in luce un problema diffuso: “A volte abbiamo monasteri con due, tre persone, con un’età avanzata: scambiano mobili antichi per roba di Ikea, e c’è chi se ne approfitta”.
Il cardinale Ravasi ha indicato in particolare “quattro aspetti sotto i quali considerare tali beni culturali, corrispondenti ad altrettante sezioni in cui sono suddivise le due giornate: 1) i quadri di comprensione teorica dei beni culturali degli Istituti di Vita Consacrata, 2) la loro catalogazione, 3) la loro gestione, 4) il riuso ecclesiale degli edifici dismessi”. “Io – ha raccontato il porporato – ho visitato più volte il caveau dei carabinieri, che in realtà è un palazzo di quattro piani, colmo quasi tutto di oggetti sacri che però per l’80 per cento non possono essere restituiti perché non c’è nessuna documentazione che lo giustifichi! Tutti elementi che appartenevano a congregazioni religiose, cappelle, un patrimonio enorme del 5-600 che è lì, fermo. Per questo la conferenza episcopale italiana aveva cominciato la catalogazione, anche fotografando gli oggetti”. Ma è necessario fare molto di più.