La differenza tra rottamazione e populismo

Dieci motivi per cui ci piaceva di più il Matteo Renzi delle primarie democratiche

Sinceramente ci piaceva di più il Matteo Renzi rottamatore. Quello della campagna contro Pierluigi Bersani e i dinosauri del Pd; quello del discorso della sconfitta alle primarie 2012; quello artigianale della battaglia contro il conformismo paludato della vecchia politica fallimentare; quello irriverente che infilzava il senso comune e lo snobismo gauchiste; quello per cui il liberismo è di sinistra. Persino quello che ha buttato già da cavallo Enrico Letta appena due mesi fa, assumendosi il rischio della congiura di palazzo in un Paese condannato a vivacchiare di meline infinite e ipocrisia. In due mesi di governo al giovane Renzi sono già spuntati i primi fili bianchi in testa, palazzo Chigi è un’impresa da far tremare i polsi, ma soprattutto sembra confondere continuamente rottamazione con populismo. Secondo noi è un grave errore.

Naturalmente non siamo ingenui. Capiamo bene la contesa elettorale e il corpo a corpo mediatico con Beppe Grillo: il voto delle europee è fondamentale per guadagnarsi un’investitura almeno indiretta che gli è mancata nel detronizzare Letta e avere più forza per domare la fronda interna al Pd e i nemici che si sta creando; capiamo il voler lisciare il pelo al senso comune e all’onda anti casta che si leva dal Paese. Renzi è un tipo svelto che legge i sondaggi, è un furbacchione, ha fiuto politico, finora le previsioni danno il suo Pd in crescita e il suo consenso personale in ascesa, però dovrebbe ricordarsi che fare il premier di un Paese complicato come l’Italia non è esattamente come una diretta Twitter. Pensavamo questo, l’altra sera, vedendolo gigioneggiare a Porta a Porta.

E pensavamo che farsi fare un’intervista al giorno non è rottamazione ma populismo (immaginatevi Obama tenere questo ritmo), tanto più se i canali, i giornalisti, e i format a cui partecipi sono sempre quelli dei soliti noti che già intervistavano i 3-4 premier precedenti che vuoi/volevi rottamare (anche perché questi signori che oggi ti blandiscono saranno i tuoi nemici di domani perché comunque non sei uno di loro); pensavamo che mettere le donne alla presidenza delle controllate pubbliche senza deleghe e poteri reali non è rottamazione ma populismo, tanto più se il resto delle nomine sono fatte fisiologicamente in stile Cencelli (il rinnovo di Terna docet) o in grande continuità con le gestioni precedenti; pensavamo che parlare di merito e di mobilità e poi promuovere tre donne che sono figlie di papà (Guidi, Marcegaglia e Todini) non è rottamazione ma populismo;
pensavamo che abolire le Province senza chiudere gli uffici corrispondenti e ridurre proporzionalmente il personale limitandosi, in perfetto spirito anti casta, a cancellare solo il livello politico, non è rottamazione ma populismo;

pensavamo che dire di voler riformare davvero la Pubblica amministrazione (vivaddio se serve al Paese) senza mettersi contro i lavoratori (a cui si mandano letterine affettuose) e chiamando al contributo fattivo gli stessi sindacati non è rottamazione (lo era quando diceva giustamente stop alla concertazione) ma populismo (perché irrealizzabile); pensavamo che tagliare gli stipendi dei manager pubblici in modo lineare, senza veri criteri di premi e incentivi a chi merita, non è rottamazione ma populismo; pensavamo che alzare la tassazione sulle rendite finanziarie aggravando le storture del sistema fiscale italiano come si sta facendo non è rottamazione ma populismo; pensavamo che promettere un codice Pin agli italiani per farli accedere in modo unico e integrato ai servizi della Pa senza prima unificare le centinaia di banche dati che non si parlano, non è rottamazione ma populismo;
pensavamo che dare 80 euro in busta paga al ceto medio impoverito è una buona scelta elettorale (che capiamo e non snobbiamo affatto) ma non è rottamazione (ma populismo), perché se si voleva essere davvero equi e distributivi come si dice si doveva partire dagli incapienti; pensavamo che avviare così tanti cantieri di riforma, giustamente definite epocali, incardinandoli in un sistema di bicameralismo perfetto che giustamente Renzi dice di voler abolire, non è rottamazione ma populismo perché già ti stai arenando sulla riforma del Senato e sulla legge elettorale, figurarsi su riforme ciclopiche e impopolari come quella della Pa. E pensavamo tante altre cose ancora guardando Porta e Porta e poi la conferenza stampa di giovedì, post Cdm. È davvero strano. Renzi si sta creando molti nemici su vicende di rottamazione perlopiù mediatica (la crociata anti manager e i mandarini di stato) ma nelle scelte vere che compie (le nomine anzitutto) in realtà sta producendo molta democristianissima continuità e persino status quo (i dipendenti pubblici anche con Renzi restano intoccabili). Paradossale.

Per ora il consenso gli dà ragione, anzi è probabile che il voto del 25 maggio lo premierà (l’alternativa in fondo è Grillo), ma bisognerebbe finalmente guardare oltre l’orticello elettorale e pensare a quel che serve davvero al Paese. E l’Italia ha bisogno come il pane di cambiamenti profondi, di rottamazione vera, seria, faticosa. Ha bisogno di gente che vada in immersione e che si sporchi le mani. Abbiamo già dato con gli one man show e i proclami altisonanti (puntualmente sconfessati alla prova dei fatti). Caro Renzi non bruciare anche tu questa bandiera: non confondere rottamazione con populismo. Sono cose diverse. Non gonfiarti di promesse irrealizzabili. Altrimenti la gente che oggi ti osanna, ti mostrerà il conto molto presto. E a farne le spese sarà il Paese. Un’altra volta. (linkiesta.it)