Una doppia partita per Joe Biden, sul fronte interno ma anche sullo scacchiere internazionale. Un colpo di stato militare in Myanmar e il caso del dissidente Aleksey Navalny in Russia sono i primi test di politica estera per l’amministrazione Biden. Il neopresidente Usa, appena insediato, ha infatti il compito di ristabilire la credibilità della democrazia americana e la leadership mondiale del suo Paese, dopo la lunga serie di messaggi incoerenti durante l’era Trump. Eletto con la promessa di ripristinare il ferreo sostegno degli Stati Uniti ai diritti umani e alla libertà di parola, Biden si trova ad affrontare due serie sfide su scenari disparati nel mondo, mentre la situazione degli Usa richiede un impegno senza precedenti: stimoli per 1.900 miliardi di dollari. Il capo della Casa Bianca cerca infatti un appoggio bipartisan a un ampio disegno di legge per alleviare le conseguenze della pandemia.
Ma potenzialmente potrebbe andare avanti senza il sostegno dei repubblicani: dopo un incontro della Casa Bianca con 10 senatori conservatori, la portavoce Jen Psaki ha detto che Biden aveva sottolineato che il Congresso doveva agire con urgenza e “audacemente” e aveva evidenziato molte aree di disaccordo con i repubblicani. In sostanza, i senatori repubblicani hanno chiesto di ridurre il piano a soli 600 miliardi di dollari. Per andare avanti i dem potrebbero usare una procedura chiamata “riconciliazione del bilancio” che consentirebbe alla misura voluta da Biden di passare al Senato con soli 51 voti. Ed evitare una riduzione dell’entità della misura, che sarebbe considerata una sconfitta dai sostenitori a sinistra. Perché se il grande pacchetto di misure non fosse abbastanza grande, e gli investimenti nella salute degli americani non fossero sufficienti, a fronte delle crisi pandemica, la prima a soffrirne sarebbe proprio l’economia a stelle e strisce.
Intanto sullo scacchiere internazionale prove durissime già dalle prime settimane di presidenza. In particolare, sulla questione birmana Biden ha preso una chiara posizione, condannando le azioni dei militari e minacciando nuove sanzioni. Ma c’è chi all’interno preme per un’azione ancora più decisa. “L’Amministrazione Biden e la comunità internazionale devono condannare rapidamente e con forza il colpo di stato antidemocratico intrapreso dall’esercito birmano e imporre al più presto sanzioni internazionali schiaccianti”, ha twittato l’ex diplomatico statunitense Bill Richardson parlando di fallimento di Daw Aung San Suu Kyi “complice delle atrocità condotte dai militari del Myanmar contro i Rohingya e altre minoranze etniche. (…) L’esercito del Myanmar deve mostrare la massima moderazione in ogni ulteriore uso della forza. A causa del fallimento di Suu Kyi nel promuovere i valori democratici come leader de facto del Myanmar, dovrebbe farsi da parte e lasciare che altri leader democratici del Myanmar prendano le redini del sostegno e del sostegno internazionale”.
Infine il dossier Navany, con il blogger in carcere, il processo a suo carico in corso e le relazioni Usa-Russia sempre ai minimi storici. La fondazione creata dal leader dell’opposizione russa ha chiesto al presidente degli Stati Uniti nei giorni scorsi di imporre sanzioni ad almeno otto figure russe di alto profilo che si dice siano vicine al presidente russo Vladimir Putin. Mentre Mosca ha dato chiari segnali di irritazione sulla presenza di diplomatici occidentali a seguire il processo, dove i pm russi chiedono il passaggio dai domiciliari a una vera e propria detenzione per il blogger che da quando è tornato dalla Germania ha già organizzato, dalla sua cella, due week end di proteste in tutta la Russia. askanews