La Groenlandia volta pagina, il trionfo del centrodestra sovranista

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La Groenlandia volta pagina: il partito di centrodestra Demokraatit trionfa alle elezioni legislative anticipate con il 31% dei voti, ribaltando la coalizione al governo. Subito dietro, il nazionalista Naleraq si impone con un sorprendente 23%, cavalcando la voglia di indipendenza immediata dalla Danimarca, che da secoli tiene sotto la sua ala l’isola più grande del pianeta. Crollano i verdi di sinistra di Inuit Ataqatigiit, guidati dal premier uscente Múte Bourup Egede, scivolati al 21% (-15% dal 2021), e i socialdemocratici di Siumut, ridotti al 15% (-14%).

“Il governo degli ultimi tre anni ha fallito, e questo voto lo dimostra. I groenlandesi vogliono un cambio di rotta”, ha tuonato Pele Broberg, leader di Naleraq, esultando per un risultato che la tv pubblica locale ha definito “sbalorditivo”. L’affluenza record alle urne – la più alta degli ultimi decenni – conferma il desiderio dei 57mila abitanti di far sentire la propria voce in un momento cruciale per il futuro dell’isola.

Indipendenza: un sogno, due velocità

L’indipendenza dalla Danimarca resta il filo rosso che unisce tutti i partiti, ma le strategie divergono. Naleraq non ha mezze misure: vuole rompere i legami con Copenaghen ora, senza aspettare. I Demokraatit, invece, freschi di vittoria, predicano prudenza, puntando a un distacco morbido che salvaguardi l’economia, ancora dipendente dai sussidi danesi (circa 500 milioni di euro l’anno). Una cautela che non piace a chi, come Broberg, vede nell’autonomia totale l’unica via per proteggere l’identità groenlandese.

A gettare benzina sul fuoco ci ha pensato Donald Trump. Da quando è tornato alla Casa Bianca, il tycoon ha rilanciato la sua ossessione per la Groenlandia, definendola “strategica” per gli Usa e lasciando intendere che potrebbe prendersela, con le buone o con le cattive. Un’uscita che ha fatto infuriare Nuuk e Copenaghen, ma che ha anche acceso il nazionalismo locale. “Non siamo in vendita”, aveva replicato Egede nel 2021 a una proposta di acquisto di Trump. Oggi, però, quel “no” sembra evolversi in un “ce ne andiamo noi”.

Risorse e geopolitica: l’isola contesa

Non è difficile capire perché l’isola attiri tante attenzioni. Coperta all’80% da una calotta di ghiaccio, la Groenlandia nasconde un tesoro di risorse: petrolio, gas naturale, uranio, terre rare. Materiali chiave per l’industria globale, ancora in gran parte inesplorati. A questo si aggiunge la sua posizione nell’Artico, crocevia strategico tra America, Europa e Russia. Trump non è il primo a metterci gli occhi sopra – già nel 1946 gli Usa provarono a comprarla – ma le sue minacce dirette hanno trasformato il dibattito politico interno in una questione di sopravvivenza nazionale.

Il tramonto della sinistra e il futuro di Nuuk

Per la coalizione uscente è una debacle. Inuit Ataqatigiit, con la sua linea ambientalista e progressista, paga il prezzo di tre anni difficili, segnati da critiche sulla gestione economica e da una pandemia che ha colpito duro. Siumut, storico partito socialdemocratico, non riesce a invertire il declino, schiacciato dalla voglia di novità. Al loro posto emergono i Demokraatit, con un programma liberale che piace agli elettori stanchi di promesse non mantenute, e Naleraq, che intercetta il risveglio identitario di un popolo deciso a non essere più pedina di potenze straniere.

Cosa succederà ora? I Demokraatit, finora all’opposizione, si preparano a formare il governo, ma dovranno fare i conti con la pressione di Naleraq, che già parla di un referendum sull’indipendenza entro il 2026. A Nuuk si festeggia, tra brindisi e bandiere al vento, ma il futuro resta un’incognita. Una cosa è certa: la Groenlandia non vuole più stare a guardare mentre altri decidono per lei.