“Mi spiace per Bossi che è contro la storia e contro la gente che gli vuole bene. Però… vabbé, amen”. Non è mai stato così esplicito così, Matteo Salvini, nei confronti del fondatore della Lega Umberto Bossi, rimasto unico del Carroccio, in aula a Montecitorio per la seduta solenne per il sessantesimo anniversario della firma dei Trattati di Roma, con il resto dei parlamentari leghisti fuori per rimarcare le distanze “con i nemici del Paese Monti, Napolitano, Prodi, Boldrini”. Bossi, poco prima, aveva spiegato così la sua scelta: “Volevo sentire. Meglio sentire le cose, così sei in grado di ragionarci sopra”. Oggi la frattura già evidente nei mesi scorsi si è conclamata, con Salvini che ha deciso di archiviare la questione Bossi. A chi gli ha chiesto se con lo strappo odierno il fondatore del Carroccio è di fatto fuori dal movimento, Salvini ha rimandato la palla al di là dello steccato: “No, no, parlo di cose più importanti. Poi, se volete, chiedete a lui”. Poi, a domanda diretta, ha escluso rischi di divisioni nella base per le divergenze tra i due. “Non esiste nessuna spaccatura”, si è limitato a replicare in un incontro con i giornalisti convocato davanti al Comune di Milano. In un’altra intervista ha aggiunto: “Il problema se lo porrà Bossi, nel senso che tutti i militanti e tutti gli elettori ci stanno sostenendo”, e ha poi rimarcato il concetto: “Sabato vado a Lampedusa e stiamo preparando tante iniziative. Quindi chi va e chi viene è l’ultimo dei miei problemi”. Come dire: Bossi dica quello che vuole, politicamente esprime una posizione tutta sua. Io vado avanti per la mia strada.
Divergenze profonde erano emerse negli ultimi mesi, a partire dall’ultimo raduno di Pontida, con la bocciatura da parte di Bossi – applaudito con rispetto dai militanti leghisti ma senza ovazioni – della linea salviniana di costruire un movimento nazionale che secondo il senatùr “portano la Lega allo sfascio” e la rendono “né carne né pesce”. “La Lega è stata fatta per la libertà del nord dall`oppressione del centralismo italiano, non per altri motivi”, ha ripetuto in diverse occasioni Bossi, che ha pure criticato l’altro pilastro della politica di Salvini, l’uscita dall’Euro: è lo Stato centrale italiano “il vero nemico”, non l’Europa. Bordate su tutta la linea (“La Lega è in grande confusione”, disse Bossi), a cui Salvini ha sempre risposto cercando di smorzare i toni, per evitare accrescere i malumori dei militanti della vecchia guarda e mantenere unita la base che, sui social, nelle piazze e negli interventi a Radio Padania, è schierata con lui. Difficile prevedere le conseguenze politiche di un’eventuale uscita di Bossi dalla Lega, che rimane comunque una scelta giudicata poco probabile: “Non ho fatto la Lega per sfasciarla”, ha detto recentemente il senatur. In gioco non sembra esserci una perdita di consensi (Salvini sa che il 14 per cento dei voti accreditati dai sondaggi hanno il suo marchio) ma il rischio più concreto potrebbe essere il disimpegno dei leghisti della vecchia guardia che hanno fondato la propria militanza sulla linea indicata dal senatùr. Con il conseguente indebolimento dell’azione politica sul territorio, soprattutto in Veneto ma anche nel varesotto, per un movimento sempre più proiettato sulla presenza continua del proprio leader su stampa, tv e Internet.