I singoli Paesi potranno costringere Facebook a eliminare contenuti illeciti come gli ‘hate speech’, i discorsi di odio, sia all’interno dell’Ue sia in tutto il mondo. Inoltre i tribunali nazionali potranno chiedere al social network di tracciare ed eliminare post identici o equivalenti a un contenuto gia’ giudicato illecito: misure di rimozione, anche queste, che dovrebbero applicarsi a livello mondiale. Lo ha sancito la Corte di giustizia europea, dando ragione a un’esponente del partito austriaco dei Verdi, che aveva fatto causa al colosso di Mark Zuckerberg. Un colpo, quello arrivato dal Lussemburgo, che ha suscitato la reazione immediata di Facebook. La sentenza, affermano dalla societa’, “solleva interrogativi importanti sulla liberta’ di espressione”.
Posizione sostenuta anche da attivisti come la britannica Article 19, secondo cui la novita’ potrebbe diventare uno strumento nelle mani dei regimi autoritari per mettere a tacere le voci critiche. Le critiche di Facebook riguardano poi il ruolo che le aziende del web dovrebbero svolgere nell’ottica della sentenza europea: la societa’ vede infatti con perplessita’ il fatto che dovrebbero essere queste ultime a monitorare i contenuti per poi interpretare se sono equivalenti a altri contenuti ritenuti illegali. “Per ottenere questo diritto – sostengono da Facebook – i tribunali nazionali dovranno prevedere definizioni molto chiare su cosa significhino questi termini concretamente”. La vicenda ha preso le mosse dall’azione legale intentata dall’austriaca Eva Glawischnig-Piesczek, presidente del gruppo parlamentare dei Verdi, contro Facebook Ireland davanti ai giudici austriaci.
L’esponente verde aveva chiesto di ordinare a Facebook di cancellare un commento pubblicato da un utente, ritenuto lesivo del suo onore, nonche’ affermazioni identiche o dal contenuto equivalente. La Corte suprema austriaca aveva quindi investito della questione la Corte di giustizia Ue, chiedendole di interpretare la direttiva sul commercio elettronico per capire come applicare la norma. I giudici di Lussemburgo hanno quindi deciso che, sebbene un prestatore di servizi di hosting come Facebook non sia responsabile delle informazioni memorizzate, qualora non sia a conoscenza della loro illiceita’, questo non pregiudica la possibilita’ di ingiungergli di porre fine o impedire una violazione, in particolare cancellando le informazioni illecite o disabilitandone l’accesso.
La Corte Ue ha inoltre sancito che un giudice di uno Stato membro puo’ ingiungere a un prestatore di servizi di hosting di rimuovere le informazioni memorizzate il cui contenuto sia identico a quello di un’informazione precedentemente dichiarata illecita o di bloccare l’accesso alle medesime. Infine, la magistratura nazionale puo’ chiedere di rimuovere le informazioni oggetto dell’ingiunzione o di bloccarne l’accesso a livello mondiale. Una sentenza destinata ad avere complicate implicazioni globali e a suscitare ancora polemiche, anche perche’ arrivata appena una settimana dopo che lo stesso tribunale aveva dichiarato a Google che non e’ necessario applicare la legge europea sul diritto all’oblio a livello globale.