Meloni vince e prepara vendetta

di Carlantonio Solimene

Vince Giorgia Meloni, perdono i “quarantenni”. E, con questi ultimi, escono sconfitti anche Gianni Alemanno e Gianfranco Fini che – l’uno esponendosi maggiormente, l’altro “manovrando” nell’ombra – si erano spesi per sostenere il progetto di ricreare un partito unitario di destra che superasse Fratelli d’Italia. Invece no, l’assemblea della Fondazione An riunitasi per due giorni all’hotel Midas ha stabilito che ad agitare sui suoi vessilli il simbolo con la Fiamma sarà ancora il partito di Giorgia Meloni. Ma il prezzo da pagare è salato: l’ennesimo frazionamento di una destra che da sei anni non trova pace. “Le strade si dividono qui” tuona la Meloni appena incassata la maggioranza in assemblea, certificando di fatto il divorzio (l’espulsione?) con i sei “quarantenni” che l’avevano sfidata. Alcune ore prima, a giochi non ancora fatti, era stata ancora più dura: “La mia destra non è quella di Fini e Alemanno”. Eppure l’intesa sembrava a portata di mano. Le trattative sono andate avanti inutilmente fino alle 5 di domenica mattina. Il termine per presentare le mozioni è stato spostato dalle 10 alle 11.30 per tentare un ultimo accordo. Niente da fare. Da una parte i Fratelli d’Italia non accettavano che venisse messo in discussione il loro percorso cominciato dal 2011, dall’altra i “quarantenni” giudicavano inaccettabile il “sentirsi ancora una volta ospiti in casa altrui”. “Nessuno mette in discussione Fratelli d’Italia, ma o si azzera tutto o non si va da nessuna parte”. “Ci vorrebbe un’amnistia togliattiana” scherzava Antonio Buonfiglio.

Così sul tavolo arrivano tre mozioni. Quella dei “quarantenni”, quella di Nicola Bono che mira a togliere il simbolo di An a Fratelli d’Italia e quella firmata da La Russa, Gasparri e Matteoli che sostanzialmente lascia lo status quo promettendo, però, l’indizione nei prossimi mesi di un congresso “aperto” del partito della Meloni. Proprio le firme dei tre ex colonnelli provocano l’ironia della fazione alemanniana. “La vostra mozione porta i nomi di chi ha ridotto la destra in macerie” attacca Antonio Tisci. Gasparri, spazientito, si morde la lingua e si sfoga nei corridoi: “Avrei voluto rispondergli che, se avesse portato in assemblea le macerie della casa di Montecarlo, magari avremmo ricostruito qualcosa da lì… Ma avrei causato una rissa, mi sono trattenuto”.
Il vicepresidente del Senato ritira la sua mozione, la quarta, perché ha ottenuto che in nessuna delle altre si aprisse la strada all’uso “partitico” dei fondi della Fondazione. E, in quanto alla disputa politica, ironizza: “Vogliono costuire un matrimonio con le regole del divorzio…”. Alla fine il suo sostegno – che per un giorno ricrea lo storico asse con La Russa – si rivelerà determinante.
L’ombra di Fini, si diceva. L’ex leader non è neanche iscritto alla Fondazione, ma sono in tanti quelli che raccontano di sue telefonate (o della fedelissima Rita Marino) per “sponsorizzare” la mozione dei quarantenni. Non basteranno.

La discussione in assemblea viaggia su toni tesissimi: mentre parla La Russa, Alemanno si avvicina e colpisce più volte il leggìo: “Basta, non devi più nominarmi”. Il presidente Franco Mugnai riesce a rasserenare gli animi solo con il ricordo dello scomparso Donato Lamorte, salutato da applausi unanimi. Si passa alle operazioni di voto, e c’è chi riesce ad accapigliarsi persino sull’orario di chiusura dei seggi, mentre il delegato più anziano arriva a urne chiuse e si deve accontentare di un applauso della sala. Il risultato del voto è atteso da un silenzio carico di tensione interrotto solo dall’esultanza di alcuni delegati per il gol della Lazio al Frosinone. Mugnai legge il verdetto a pochi minuti dalle venti. Su 490 votanti e con una maggioranza assoluta fissata a 246 sì, l’unica mozione a passare è quella di Fratelli d’Italia, sostenuta da 266 delegati. I quarantenni si fermano a 222, la mozione Bono a 212. Giorgia Meloni, fino a quel momento rimasta in disparte, spunta in sala per festeggiare e lanciare una stoccata ai quarantenni: “Non ho sentito da loro nessuna idea politica. E se togli le idee, resta solo la battaglia per la cassa…”. La Russa, durante l’assemblea, era stato ancora più esplicito: “Non faremo prigionieri”. Dall’altra parte alemanniani e finiani si leccano le ferite e c’è chi non si capacita di alcune “conversioni” dell’ultimo minuto. “Tanti delegati sono stati richiamati alla disciplina di partito. O magari gli hanno promesso qualcosa” si sfogano. Ed è proprio questo il quadro finale di una giornata surreale: accuse incrociate e rapporti umani incrinati. Altro che destra unitaria, sulle ceneri di An rinascono solo altre diaspore.

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