C’è un dibattito acceso tra gli esperti di cose nordcoreane, che sta appassionando non poco le persone attente alle evoluzioni in quello che è considerato uno dei regimi più chiusi al mondo: la sorella di Kim Jong Un, Kim Yo Jong, è stata o meno designata la prima in linea di successione al trono dell’unica dinastia familiare del mondo socialista? Il contesto in cui il dibattito si sta sviluppando è quello di una sempre maggiore evidenza del ruolo assunto da Yo Jong in un momento in cui la presenza del fratello maggiore si è rarefatta, tanto che il mese scorso diversi media anche di peso hanno ipotizzato che fosse gravemente malato o persino morto. Affermazione, questa, poi smentita dal ritorno (al momento effimero) sulla scena del giovane Leader.
Kim Yo Jong sembra aver preso le redini della politica intercoreana del regime di Pyongyang e, in una serie di dichiarazioni e minacce, ha definitivamente dissolto le speranze di dialogo innescate negli ultimi due anni dai summit tra Kim Jong Un e il presidente sudcoreano Moon Jae-in. Processo arenatosi, poi, col secondo vertice tra Kim e il presidente Usa Donald Trump. Ma, al di là di queste considerazioni di scenario, c’è stata una specifica dichiarazione contenuta nel giornale del Partito dei lavoratori coreani, Rodong sinmun, a innescare interpretazioni, speculazioni e pronostici. In un patriottico editoriale del 10 giugno 2020 intitolato “L’arma assoluta della Corea della Juche”. Per inciso, la Juche (o Juch’e) è l’ideologia di stato nordcoreana – fondata dal presidente “eterno” Kim Il Sung e articolata dal figlio Kim Jong Il – che si focalizza sull’unicità del popolo coreano e sulla sua autonomia. Un etnonazionalismo colorato di stalinismo, per intenderci.
All’interno di questo editoriale, una frase ha fatto rizzare le antenne agli esperti: “Nessuna forza nel mondo ha potuto impedire il progresso del nostro Popolo, che marcia con le sue idee e la sua volontà in linea con il Grande Centro del Partito verso il radioso domani”. Fatta la tara del linguaggio pomposo dal sapore antico, quello che ha attirato l’attenzione degli osservatori è proprio la definizione di “Grande Centro del Partito”. In un articolo del 14 giugno l’East Asia Research Center – che monitora quanto accade sui media nordcoreani ed è stato fondato da un ex dipendente del Pentagono – si è concentrato su questa formula di “Centro del Partito” (in coreano “Dang Joongang”). L’estensore dell’analisi (Yoo Dong-ryul, presidente dell’Istituto coreano per la liberal-democrazia) ricorda che nel 1974 la stessa definizione fu utilizzata per indicare Kim Jong Il, il figlio maggiore di Kim Il Sung, che da allora diventò il successore designato del Presidente, anche se la nomina fu ufficializzata soltanto nel 1980. Da quella data di 36 anni fa, fino alla designazione ufficiale, Kim Jong Il fu appunto indicato come “Centro del Partito”.
D’altronde, il titolo non può essere attribuito a Kim Jong Un, il quale viene di prassi indicato con altri appellativi (“il Caro Generale o Caro Maresciallo” o “il Caro Leader”) più elevati; quindi se ne deduce chiaramente che il riferimento è da assegnare a un numero due, piuttosto che a un numero uno. Da questa considerazione, Yoo trae la conseguenza che il successore designato ormai è stato scelto. A questo potrebbe essere in qualche modo collegata l’assenza di fatto dalle scene del Leader e le voci su una sua possibile malattia. D’altronde, spingendosi ancora oltr enel ragionamento, lo studioso segnala che i figli del 36enne Kim Jong Un sarebbero troppo giovani (il più grande pare abbia 10 anni) e quindi molto probabilmente è la sempre più potente sorella minore (forse 32enne) ad aver assunto questo ruolo. Tra l’altro, l’unico possibile “concorrente” al ruolo di successore – il fratellastro del defunto Kim Jong Il, Kim Pyong Il (65 anni ca.), ex diplomatico – si sarebbe ritirato a vita privata e ci sono voci secondo le quali sarebbe addirittura agli arresti domiciliari.
A supporto di questa tesi il ricercatore definisce falsa un’altra affermazione contenuta nell’analisi di Yoo. Non sarebbe vero, a suo dire, che “Dang Joongang” è una formula non utilizzata dai tempi di Kim Jong Il e solo quest’anno sarebbe apparsa sul Rodong sinmun per ben 19 volte, sempre a indicare l’organo centrale del Rodong, il Partito dei lavoratori. Inoltre, nell’ultima successione tra Kim Jong Il e Kim Jong Un quest’ultimo non è mai stato indicato con quella formulazione, ma con altre: “Giovane Generale” o “Generale Kim”. Secondo Tertiskyi, guardando i precedenti, il titolo che verrà utilizzato per il successore designato sarà probabilmente creato ad hoc, non si ricorrerà a un usato sicuro.
A deporre infine contro la possibilità di una successione tra fratello e sorella ci sono altri elementi. Intanto non è affatto un “unicum” che una sorella o un fratello siano al fianco del Leader al vertice della Corea del Nord: Kim Kyong Hui (donna) ha avuto un ruolo molto importante nel regime del fratello Kim Jong Il nei primi 2000; Kim Il Sung diede una posizione centrale al fratello Kim Yong Ju. Eppure nessuno dei due divenne a sua volta numero uno e il passaggio di potere fu sempre di padre in figlio. Alla fin fine, come spesso accade negli “arcana imperii” del regime nordcoreano, più che le analisi e le speculazioni saranno il tempo e il misteriose lavorìo del potere dinastico a Pyongyang a dare la soluzione della diatriba. Ci sarà da aspettare, non certa da annoiarsi. askanews