Editoriale

La paralisi istituzionale: il governo contro l’ombra della magistratura

Lo scontro tra governo e magistratura in Italia sta raggiungendo livelli che sollevano interrogativi inquietanti sul funzionamento delle nostre istituzioni democratiche. Sempre più spesso, il potere giudiziario sembra comportarsi come un’opposizione de facto, ostacolando non solo le politiche dell’esecutivo, ma anche il diritto di un governo di perseguire il proprio programma politico. È un fenomeno che, al di là del merito delle singole decisioni, mina l’equilibrio istituzionale e rischia di creare una pericolosa sovrapposizione tra potere giudiziario e potere legislativo.

La recente vicenda della gestione dei flussi migratori, dove i giudici hanno bloccato diverse iniziative del governo, rappresenta un esempio emblematico di questa deriva. L’esecutivo, forte di un chiaro mandato popolare che includeva la promessa di una gestione più rigorosa dell’immigrazione, si è visto sistematicamente ostacolato da interventi giudiziari che hanno vanificato le sue politiche. La mossa di trasferire la giurisdizione sui detenuti migranti alle corti superiori era un tentativo legittimo di semplificare il sistema, ma è stata immediatamente interpretata come una “sfida” dalla magistratura, che ha risposto in modo tattico, dimostrando una capacità di manovra più tipica di un attore politico che di un organo di garanzia.

Questo atteggiamento pone una domanda cruciale: dove finisce il controllo di legittimità e dove inizia l’interferenza politica? Se la magistratura ha il compito fondamentale di vigilare sul rispetto delle leggi e dei diritti, non può però arrogarsi il ruolo di arbitro delle scelte politiche. Le decisioni sull’immigrazione, così come altre politiche, spettano al governo, che è legittimato dal voto popolare. Interventi giudiziari che bloccano sistematicamente l’azione dell’esecutivo, in nome di una propria interpretazione del bene pubblico, rischiano di sovvertire la divisione dei poteri su cui si fonda la nostra democrazia.

Questa dinamica non è nuova in Italia, ma si sta consolidando con preoccupante frequenza. La magistratura italiana, per la sua struttura interna e per la mancanza di reali strumenti di responsabilizzazione, sembra talvolta immune da qualsiasi scrutinio, agendo con una libertà che, in certi casi, si avvicina all’arbitrio. Il problema non è solo di forma, ma di sostanza: una magistratura percepita come ostile al governo non solo mina la legittimità delle istituzioni, ma rischia di polarizzare ulteriormente il dibattito pubblico, alimentando sfiducia e risentimento tra i cittadini.

Questo non significa che il governo debba avere carta bianca. La magistratura ha il compito di bilanciare il potere esecutivo e di garantire il rispetto delle leggi, ma il suo ruolo non può trasformarsi in un costante contrappeso politico. Quando ciò avviene, il sistema si inceppa. Il rischio è di creare una sorta di paralisi istituzionale, dove nessuna decisione può essere attuata senza che venga prima “approvata” da un potere giudiziario sempre più intrusivo.

La soluzione a questo problema richiede coraggio e una profonda riforma del sistema giudiziario. È necessario introdurre meccanismi di responsabilizzazione per i magistrati e garantire una maggiore trasparenza nelle loro decisioni, affinché il controllo di legalità non si trasformi in controllo politico. Allo stesso tempo, il governo deve lavorare per ricostruire un rapporto istituzionale con il potere giudiziario, senza cadere nella tentazione di alimentare uno scontro frontale che rischia di delegittimare entrambe le parti.

In un Paese democratico, la divisione dei poteri è sacrosanta, ma ognuno deve rispettare i confini del proprio ruolo. La magistratura non può essere un freno continuo all’azione di un governo eletto. Se questa tendenza non verrà invertita, l’Italia rischia di trasformarsi in una democrazia paralizzata, dove le istituzioni si combattono tra loro, mentre i cittadini pagano il prezzo di un sistema inefficiente e disfunzionale.

Pubblicato da
Gaetano Mineo