Dopo mesi di scontri che hanno inflitto alla Striscia di Gaza un bilancio spaventoso di almeno 46mila morti palestinesi, un raggio di speranza ha perforato l’oscurità della guerra. Israele e Hamas hanno siglato un accordo di cessate il fuoco, destinato a entrare in vigore alle 8:30 ora locale di domenica 19 gennaio (le 7:30 in Italia), promettendo di cambiare il corso della storia in questa regione martoriata dal conflitto.
Il risultato di questo accordo è stato macchinoso, mediato con fermezza dagli Stati Uniti e dal Qatar. Doha è stata il teatro di queste trattative epocali, dove ogni parola, ogni clausola, è stata pesata con la consapevolezza che si stava scrivendo un nuovo capitolo per milioni di vite. Nonostante il governo israeliano fosse diviso, il consenso è stato raggiunto venerdì, superando le barriere di una politica interna lacerata.
L’IDF non ha lasciato nulla al caso. Oltre alla logistica del ritiro, si prepara a una sfida di umanità: accogliere e curare non solo le ferite fisiche ma anche quelle dell’anima degli ostaggi rilasciati, con un impegno senza precedenti per il loro reinserimento.
In Israele, il voto del governo ha rivelato le crepe profonde tra i ministri. Con 24 sì e 8 no, l’opposizione è venuta da figure come Ben Gvir e Smotrich, voci critiche che vedono nell’accordo una resa. Tuttavia, il popolo, con un 73% di consenso secondo i sondaggi, sembra pronto a sperare in una tregua che porti sollievo. In Palestina, Hamas ha accolto l’accordo come una vittoria della resistenza, ma è l’Autorità Nazionale Palestinese che guarda al futuro, con Abbas che si offre come custode di un Gaza post-bellica. Sul fronte internazionale, l’entusiasmo è misurato. Gli Stati Uniti garantiscono supporto a Israele, mentre Hezbollah celebra l’accordo come un trionfo collettivo della resistenza.
Questo cessate il fuoco è solo l’inizio. La ricostruzione di Gaza, la ricostruzione della fiducia tra le parti, e i negoziati per le fasi successive saranno le vere battaglie da vincere. Le prossime settimane saranno un banco di prova per la diplomazia, la volontà politica e la resilienza umana. La comunità internazionale deve ora vigilare, sostenere, e forse spingere questa fragile tregua verso un futuro di pace. Il Medio Oriente è a una svolta; ora tocca a tutti noi vedere se questa sarà la strada verso la guarigione o solo un’altra pausa in una guerra senza fine.
L’IDF (Israeli Defense Forces) ha pianificato una serie di dettagli logistici complessi per garantire la transizione verso il cessate il fuoco, l’accoglienza degli ostaggi rilasciati e l’attuazione delle clausole dell’accordo. Ecco un’analisi approfondita di questi aspetti:
Questo complesso apparato logistico dell’Idf mostra non solo la capacità militare ma anche l’impegno verso un’operazione di pace che va oltre l’aspetto bellico, verso la cura delle persone e la ricostruzione della fiducia.
L’accordo di cessate il fuoco tra Israele e Hamas annunciato dopo 15 mesi di guerra nella Striscia di Gaza prevede l’attuazione di tre fasi a partire da domenica 19 gennaio. L’intesa, annunciata da Doha, dove si sono svolti i negoziati mediati da Qatar, Egitto e Stati Uniti, è stata approvata ieri da Hamas, mentre oggi l’ufficio del premier israeliano ha annunciato il rinvio della riunione di gabinetto che avrebbe dovuto approvarla, accusando il movimento palestinese di “una crisi dell’ultimo minuto”.
L’accordo prevede la liberazione degli ostaggi israeliani in mano ad Hamas in cambio del rilascio di detenuti palestinesi, l’ingresso nella Striscia di Gaza di aiuti umanitari e un graduale ritiro delle forze israeliane dall’enclave palestinese nel corso di tre mesi.
19 Gennaio
Il primo ministro del Qatar, Sheikh Mohammed bin Abdulrahman bin Jassim Al Thani, ha annunciato ieri che il cessate il fuoco inizierà alle 12:15 (11:15 italiane). In questa prima giornata di tregua è previsto il rilascio di tre ostaggi israeliani, seguito dalla liberazione di altri quattro ostaggi al quarto giorno di cessate il fuoco.
Sono 33 gli ostaggi – donne, bambini, malati e uomini con più di 55 – che verranno rilasciati nel corso di 42 giorni, mentre le forze israeliane si ritireranno della aree popolate di Gaza, consentendo il ritorno degli sfollati. I militari verranno dislocate in aree non più lontane di 700 metri dal confine di Gaza con Israele.
25 Gennaio
Al settimo giorno di tregua ai palestinesi sfollati sarà consentito di tornare nel nord della Striscia di Gaza senza portare armi e senza ispezioni tramite al-Rashid Street. Le auto e altri veicoli potranno andare a nord del corridoio Netzarim, che divide in due Gaza, dopo l’ispezione dei veicoli, che sarà condotta da un’azienda privata che verrà scelta dai mediatori, in coordinamento con Israele.
3 Febbraio
Al 16esimo giorno di cessate il fuoco inizieranno i negoziati sulla seconda fase.
9 Febbraio
Al 22esimo giorno, ai palestinesi sarà consentito di tornare a nord dell’enclave sia da al-Rashid Street che da Salah al-Din Street senza ispezioni.
1 Marzo
Fine della prima fase, al 42esimo giorno di tregua. Entro questa data dovrebbero essere stati rilasciati 33 ostaggi israeliani in cambio di 100 prigionieri palestinesi. Dovrebbe quindi iniziare la fase due, con il rilascio dei restanti 65 ostaggi israeliani e il ritiro delle forze israeliane dal corridoio Philadelphi, al confine con l’Egitto, da completare entro il 50esimo giorno.
9 Marzo
Al 50esimo giorno, Israele dovrebbe aver completato il ritiro delle forze militari dal corridoio Philadelphi.
12 Aprile
All’84esimo giorno dovrebbe iniziare la terza fase, di cui si conosce poco al momento, ma che dovrebbe riguardare un piano di ricostruzione della Striscia di Gaza di tre-cinque anni, da attuare sotto la supervisione internazionale. In questa fase è prevista la consegna delle salme degli ostaggi israeliani. Si stima siano circa 30 gli ostaggi morti in questi mesi di conflitto.