La prova: già otto mesi fa il Pd voleva salvare De Luca

La prova: già otto mesi fa il Pd voleva salvare De Luca
13 giugno 2015

di Carlantonio Solimene

La legge con i nemici si applica. Con gli amici si interpreta. E se proprio non si riesce a interpretarla a proprio vantaggio, magari la si modifica completamente. E pazienza se, fino a qualche tempo fa, il Partito Democratico era quello del “mai leggi ad personam, queste cose semmai le fa Berlusconi”. Per la causa – per permettere a De Luca di governare la Campania – si può anche sacrificare la coerenza. Ecco, appunto, Berlusconi. In base alla legge Severino il Pd aveva votato nell’autunno del 2013 la sua decadenza dal Senato. A poco erano servite le proteste del centrodestra per l’omicidio politico del leader dell’opposizione. Ancora meno avevano potuto gli inviti alla prudenza di esimi costituzionalisti che denunciavano le incongruenze dell’applicazione retroattiva di una norma. Passa un anno e la legge Severino torna improvvisamente sulla bocca di tutti. Non certo per riabilitare il leader di Forza Italia, ma perché la Campania si avvicina al voto per il rinnovo del Consiglio Regionale. E, tra i possibili candidati, c’è anche Vincenzo De Luca. Peccato che l’ex sindaco di Salerno, nonché ex viceministro alle Infrastrutture, nel suo curriculum vanti anche una condanna in primo grado per abuso d’ufficio. Uno di quei reati sui quali la Severino ha tracciato una bella riga: se hai subìto una condanna definitiva di questo tipo, non puoi candidarti.

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Se la condanna è solo in primo grado, sarai sospeso dalla funzione. Certo, le primarie sono ancora lontane, e Matteo Renzi sta studiando il modo per evitarle imponendo un candidato dall’alto. Ma il rischio che a correre per la poltrona di governatore sia proprio De Luca – come effettivamente accadrà di lì a sei mesi – è concreto. E allora spunta la “manina”. Anzi, le “manine”. Undici, per la precisione. Come i deputati che il 10 ottobre 2014 firmano la proposta di legge numero 2.661. Il titolo è già indicativo: “Modifiche agli art. 7 e 10 del testo unico di cui al dlg 235/2012 (una delle deleghe affidate al governo con la legge Severino, ndr) in materia di esclusione della condanna per abuso d’ufficio dal novero delle cause ostative alla candidatura nelle elezioni regionali, provinciali, comunali e circoscrizionali”. Tra le motivazioni della proposta si adduce la “palese incostituzionalità” della norma. E si contesta anche “la decadenza dalla carica ove tale sentenza definitiva intervenga in corso di mandato e la sospensione temporanea della carica ove in corso di mandato intervenga una sentenza non definitiva”.

Una norma che sembra cucita addosso a De Luca, anche considerando gli ulteriori commenti allegati: “È davvero abnorme – si legge nel testo – che una condanna per abuso d’ufficio nel solo primo grado di giudizio determini la sospensione automatica dalla carica per diciotto mesi”. A pensar male si fa peccato, ma qualche volta ci si azzecca. E il sospetto che si tratti di una legge volutamente ad personam si insinua ulteriormente se si scorre l’elenco dei firmatari: Fulvio Bonavitacola, Pd, nato a Salerno; Ferdinando Aiello, Pd, Cosenza; Luisa Bossa, Pd, Ercolano; Anna Maria Carloni, Pd, nata a Macerata ma eletta nella circoscrizione Campania 1; Marco Di Lello, socialista eletto nelle liste del Pd, Napoli; Gero Grassi, Pd, Terlizzi; Leonardo Impegno, Pd, Napoli; Federico Massa, Pd, Lecce; Michele Ragosta, Pd, Salerno; Andrea Romano, Pd, Livorno; Simone Valiante, Pd, Salerno. Tutti (o quasi) del partito di De Luca. Tutti (o quasi) campani. Tre su undici di Salerno, città del sindaco-sceriffo. Il tentativo, in verità, sarà destinato al fallimento. A distanza di otto mesi il ddl risulta assegnato a una commissione ma la discussione non è ancora cominciata. Chissà che ora, però, il testo non possa tornare utile. In fondo la legge è uguale per tutti. Ma, per qualcuno, è più uguale che per gli altri.

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