La rivolta dei dirigenti ministeriali. I burocrati scrivono a Mattarella: riforma Madia penalizza l’Italia

LA LETTERA La stessa missiva sarà inviata anche alle Commissioni parlamentari Affari Costituzionali di Camera e Senato di Filippo Caleri

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di Filippo Caleri

madiaIl fronte degli alti dirigenti ministeriali alza il tiro contro la riforma Madia e, il neo costituito Comitato di dirigenti pubblici per la difesa degli articoli 97 e 98 della Costituzione, invia una lettera al presidente della Repubblica, Sergio Mattarella per “rappresentare le ragioni di grave preoccupazione in merito ai contenuti del decreto legislativo di riforma della dirigenza pubblica approvato, in prima lettura, dal Consiglio dei Ministri nella riunione del 25 agosto”. Un invito a essere ricevuti al Colle per spiegare personalmente al presidente le criticità giuridiche. La stessa missiva sarà inviata anche alle Commissioni parlamentari Affari Costituzionali di Camera e Senato. Ad avviso dei dirigenti in primo luogo il provvedimento regolamenterebbe in modo farraginoso molti aspetti già da diversi anni completamente devoluti alla sfera di competenza ed autonomia della contrattazione collettiva. Insomma afferma la missiva: “Il provvedimento anziché evolvere verso un concetto di dirigenza pubblica altamente qualificata, professionale e internazionalmente referenziata al contrario sposa, peraltro in senso peggiorativo, un modello decisamente superato e già certificato nel suo fallimento”. La riforma avrebbe effetti penalizzanti e punitivi, ed è concepita manifestamente “contro la dirigenza pubblica perché avrebbe scopi reconditi del tutto diversi da quelli di efficienza, legalità e moralizzazione in principio giustamente enunciati, ossia di disporre di una dirigenza a immagine e somiglianza del governante di turno, discostandosi, inoltre, da rilevanti principi costituzionali e di diritto comunitario”.

La contestazione riguarda il fatto che lo status del personale dirigente finora fondato su precisi diritti legati al pubblico concorso che dà diritto di appartenenza a una Amministrazione e a ricoprire una funzione, viene trasformato in un sorta di semplice abilitazione ad essere iscritto in una specie di albo (ruolo unico), dove il dirigente ha una mera aspettativa di incarico e l’onere di ricercarsi un lavoro e una funzione. “Tutto in prospettiva di prevedibili esuberi, parcheggi e licenziamenti, e senza alcuna contropartita in termini di tutele, di forme di flessibilità, di incentivazioni a forme di prepensionamento, ordinariamente previsti per simili circostanze” precisa la missiva che aggiunge: “Non si comprende, in particolare, come non sia possibile prevedere, così come per il sistema di programmazione triennale dei fabbisogni assunzionali, anche un sistema di programmazione delle scadenze degli incarichi e gestione delle relative assegnazioni, per cui sia che meriti o meno, il dirigente alla scadenza si trova necessariamente collocato in disponibilità, con una pesantissima decurtazione del trattamento economico”. Il timore è che il testo consenta l’affermazione del principio di un’estrema omogeneizzazione professionale, laddove tutto il mondo va nella direzione dell’alta qualificazione e specializzazione.

Non solo. La nuova disciplina, specie laddove espropria i dirigenti della loro storia professionale, “induce una condizione di estrema precarizzazione e asservimento, al contempo massimizzandone le responsabilità attribuite in via esclusiva, a fronte di una nuova fattispecie di scriminante, con cui il Governo autodetermina l’assoluta irresponsabilità della dirigenza politica, anche quando i fatti dipendono dall’attuazione di atti di indirizzo politico”. “La determinazione di condizioni di una dirigenza amministrativa completamente in balia della dirigenza politica, in condizioni di grave incertezza e sottomissione, non sembra la soluzione migliore per un agire e un intervento pubblico che devono irrobustirsi sul piano della qualità del servizio, della efficacia, della legalità e delle basi morali e valoriali, destinati a ridondare in una violazione dei principi democratici di imparzialità e giusta autonomia del pubblico impiego rispetto alla dirigenza politica di turno”. In conclusione, la riforma in questione tende a destrutturare gli assetti della pubblica amministrazione e a sconvolgerne l’andamento, inceppandone l’azione amministrativa. A fianco dei dirigenti di Stato si è schierato Renato Brunetta (Fi) che ha detto: “Se davvero vogliono bloccare la riforma Madia, oltre a sacrosanti comitati e documenti a Mattarella i cosiddetti mandarini dello Stato facciano campagna per il No al referendum. Le nuove regole sulla dirigenza pubblica sono il perfetto completamento del già pericolosissimo disegno verso il regime assoluto insito nel combinato disposto della Legge elettorale e della riforma del Senato”.