Pensieri&Parole

La scomparsa della Palazzina Cinese di Palermo

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La Palazzina Cinese di Palermo è sparita. Non fisicamente, è chiaro: ma dalle preoccupazioni degli impiegati, dirigenti e politici che dovrebbero renderla fruibile al pubblico. Ora vi racconto.

In vacanza a Palermo per qualche settimana – sono palermitano ma abito a Roma – martedì 20 luglio mi è venuta l’idea di portare due amici di passaggio in Sicilia a visitare la Palazzina Cinese; con l’occasione avrei potuto anche fare un articolo per Metro News (il quotidiano delle metro di Roma, Milano e Torino) o per qualche altra testata con cui collaboro. Ovviamente mi servono le solite informazioni – giorni e orari di apertura, se e come si può prenotare – e le cerco sul web. I siti “non istituzionali”– vacanzesiciliane.net, palermoviva.it, balarm.it e altri – concordano sui giorni e orari di apertura: “Da martedì a sabato dalle 9 alle 19 – ultimo ingresso alle 18.30; domenica: solo la prima di ogni  mese dalle 09.00 alle 13.00”. Ma, stranamente, indicano numeri di telefono diversi. Provo a chiamarli, e scopro che sono tutti equivalenti: nel senso che non funzionano. Mi risponde solo un cellulare il cui proprietario mi dice disperato: “Sono un privato, il numero non è più della Palazzina Cinese!”.

Naturalmente a questo punto vado sui siti istituzionali, e finalmente su http://www.regione.sicilia.it/ e http://www.cittametropolitana.pa.it/ trovo informazioni complete e concordanti. Giorni e orari di apertura sono gli stessi dei siti “non ufficiali”; ma i contatti sono diversi, “Chiamare “091 6391111 interno 81011 oppure 81015”. Provo, ed ecco il risponditore del call center della Regione Siciliana che mi invita a digitare l’interno. Dai che ci siamo! ...Ma quando mai. Ambedue suonano a vuoto. Eppure è orario d’ufficio… Provo allora con https://turismo.comune.palermo.it che mi dà un cellulare – 3386973791 – che però non squilla proprio: o non funziona o è staccato.

Superato, grazie a qualche parolaccia liberatoria, lo sconforto, chiamo l’Ufficio Relazioni con il Pubblico del Comune. E finalmente parlo con un essere umano, e per di più gentile. Una signorina, che però mi dà i numeri di telefono che ormai so essere sbagliati. Glielo dico, lei si informa e commenta dispiaciuta: “Io questi numeri, ho” e conclude: “Comunque, i giorni e gli orari di apertura coincidono con quelli che ha lei. Può andare tranquillo”. E tranquillo vado, dando appuntamento ai miei amici alle 10:00 del giorno dopo mercoledì 21 all’ingresso della Palazzina Cinese. Sorpresa: la celebratissima palazzina è chiusa, fermé, closed, geschlossen, cerrada. Ma non c’è nessun cartello di spiegazioni per quelli che “vengono tranquilli”: solo una poco “welcoming” catenona al cancello. Non esattamente un bell’esempio di comunicazione turistica. Invece di fotografare le inacessibili bellezze per le quali ci siamo scapicollati fin lì, fotografo l’immondizia abbandonata proprio nei pressi dell’ingresso e chiedo lumi a un signore al balcone della “dependance” accanto, forse adibita a uffici collegati alla gestione del sito.

Cade dalle nuvole: “La palazzina è chiusa, si sa”. Si sa? CHI lo sa? A me sembra invece che l’informazione sia un segreto custodito nel cassetto di qualche burocratosauro meglio dell’oro di Fort Knox. E, avendo lavorato tutta la vita nello spietato, meritocratico privato, non posso fare a meno di pensare che se in Sicilia la gestione dei monumenti fosse condotta con le regole del buon management, tanta gente sarebbe buttata fuori dagli uffici che occupa per due motivi: perché sottrae preziose risorse economiche ai siciliani da cui sono pagati nonostante lavorino male, ma anche perché lavorando male scoraggiano il turismo di cui i siciliani hanno disperato bisogno. Ma ormai è chiaro a tutti che non succede, e non succederà mai, niente. Una volta che il “posto” (per i non siciliani: “il posto di lavoro”) è stato conquistato, l’idea di doverselo anche meritare sarebbe impopolare, e le cose impopolari costano consenso, e quindi voti, e quindi… …e quindi la Palazzina Cinese può anche finire su “Chi l’ha visto?”. E peggio per quei fastidiosi rompiscatole dei turisti.

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