Donald Trump fa marcia indietro. Piuttosto che mettere al voto un disegno di legge che non sarebbe mai stato approvato, il presidente americano ha chiamato lo speaker alla Camera per dire di ritirare la riforma sanitaria pensata per abrogare e sostituire l’Obamacare. Si tratta di un’amara ammissione del fatto che né le minacce e gli ultimatum dell’inquilino della Casa Bianca né il pressing di Paul Ryan sono bastati per convincere l’ala più conservatrice del partito repubblicano ad allinearsi e promettere di votare “sì”. “Lo abbiamo appena ritirato”, ha detto Trump. Ciò significa che l’Affordable Care Act – la riforma tanto voluta da Barack Obama – resta in vigore, almeno per il momento, e che una delle principali promesse di Trump non viene realizzata. Dopo la prima e dura sconfitta legislativa di Trump, resta da capire se il Gop è capace di quella unità necessaria per approvare altre legislazioni importanti tra cui quella per un taglio alle tasse e per spese infrastrutturali da 1.000 miliardi di dollari. Parlando con il giornale della capitale Usa, Trump ha spiegato di “non dare la colpa a Paul”. In vista del voto, il portavoce della Casa Bianca, Sean Spicer, aveva detto che lo speaker della Camera “aveva fatto tutto il possibile” per ottenere i 261 voti necessari per il via libera del ddl.
Mancavano “pochi voti” per raggiungere il magic number, ha detto Ryan commentando da Capitol Hill la decisione di ritirare il disegno di legge. “Vedremo cosa fare”, ha aggiunto dicendo che per quando “dolorosa” la giornata odierna “non rappresenta la fine”. Secondo lui, “il peggio deve ancora arrivare per Obamacare” perché “sta collassando, non sta funzionando”. Dicendosi “orgoglioso” del ddl, Ryan ha detto che la proposta del Gop resta ancora la migliore anche se “dobbiamo fare meglio e di più”. “Avremo a che fare ancora per un po’ con Obamacare ma non so per quanto”. Ryan ha spiegato che il presidente Donald Trump “ha fatto tutto il possibile”. Mentre i repubblicani cercano di capire cosa fare, i democratici cantano vittoria mentre Trump – in una intervista al New York Times – dà loro la colpa di quanto successo. La minoranza al Congresso aveva già festeggiato ieri quando il voto alla Camera sul ddl stesso era slittato a oggi proprio per la mancanza dei “sì” necessari. Ieri per altro era il settimo anniversario della riforma sanitaria tanto caldeggiata dal 44esimo presidente Obama. Vestita di verde – come il colore della speranza – la leader della minoranza democratica alla Camera ha brindato al flop del Gop definendo “eccitante” quanto successo. La proposta di riforma sanitaria targata Gop sembrava già morta in partenza: presentata all’inizio del mese, fu subito bocciata da un organismo bipartisan al Congresso (il Congressional Budget Office), secondo cui 24 milioni di americani avrebbero perso la copertura sanitaria portando a 56 milioni il totale di persone senza un’assicurazione al 2026.
Nelle ultime settimane il testo del provvedimento è stato cambiato nel tentativo di colmare le differenze all’interno del Gop ma una nuova analisi del Cbo non ha cambiato le sue conclusioni in modo sostanziale. E una buona fetta del Freedom Caucus è rimasto fedele alla sua linea: molti membri del gruppo congressuale repubblicano alla Camera erano tra i più convinti oppositori alla Ryancare. Della loro posizione, Trump si è detto un po’ sorpreso dal loro comportamento ma “sono tutte brave persone”. E dopo avere difeso gli sforzi di Ryan, il presidente si è detto convinto che Obamacare “esploderà”. In questo modo ha cercato di presentare sotto una luce diversa il flop odierno, dando la colpa ai deputati democratici (“tutti contrari”) che secondo lui saranno costretti a bussare alla porta del Gop per negoziare una riforma sanitaria migliore di quella voluta da Obama. Gli investitori hanno reagito con nervosismo a Wall Street (la seduta è finita contrastata). Si domandano se la prima sconfitta legislativa del 45esimo presidente Usa getti le basi per una strada impervia verso altre legislazioni più a cuore del mercato a cominciare dal taglio alle tasse. Su questo si concentra la prossima sfida del miliardario di New York trasformatosi nel leader della prima economia al mondo. I mercati finanziari sperano che su quello sappia sfoggiare la sua “arte dell’accordo”, per citare il suo libro del 1987 “Art of the Deal”, le cui copie circolavano in queste ore in un Congresso nel caos. Lui ha detto che la riforma fiscale gli è “sempre piaciuta”. Non resta che vedere se la realizzerà.