“Un giorno, era il gennaio del 45 e c’era un freddo terribile, siamo tornati dal lavoro e ci hanno detto “è finita, il campo viene evacuato”. Elie Buzyn, 86 anni, ricorda il giorno di 70 anni fa in cui lasciò Auschwitz. Ricordi che non ha voluto condividere con nessuno, neanche con la sua famiglia, per 50 anni. Nato a Lodz, in Polonia nel 1929, dagli 11 anni in poi ha vissuti tutti gli orrori dell’Olocausto: prima il ghetto, poi Auschwitz, da cui i nazisti lo portarono via poco prima della liberazione. Un viaggio di 100 km a piedi, una delle cosiddette “marce della morte”. Direzione, il campo di concentramento tedesco di Buchenwald. “Ho visto le persone che mostravano segni di stanchezza, che marciavano lentamente o che inciampavano venire abbattute dalle SS. Per questo è stata chiamata dopo “marcia della morte”.
Quando si vedevano le colonne marciare, colonne di migliaia di persone, a ciascun lato della strada c’erano cadaveri ammucchiati”. Sopravvisse anche a Buchenwald, l’unico campo liberato dai prigionieri stessi. Si trasferì in Francia, unico sopravvissuto alla sua famiglia, e decise di non parlare mai più di quell’orrore. Fino a quando suo figlio a 21 anni prese una decisione. “Mi ha detto ‘io vado ad Auschwitz per vedere dove tutta la mia famiglia paterna, che non ho mai conosciuto, è scomparsa’. Al momento ho detto ‘d’accordo, vai’. Poi subito dopo gli ho detto, ‘no, non puoi andarci senza di me, se qualcuno ti deve accompagnare là, quello sono io’. Ho sentito questo dovere”. Da allora Elie Buzyn compie questo dovere ogni anno, portando la sua testimonianza nelle scuole o accompagnando gruppi ad Auschwitz. Vista l’età, non sa se riuscirà a portarci i suoi numerosi nipoti, dice, ma è convinto che tutti quelli che ha aiutato a conoscere l’orrore dell’Olocausto diventeranno a loro volta dei testimoni.