L’Albania diventa hub per i rimpatri: il governo apre il Cpr di Gjader tra polemiche

Il centro migranti in Albania
I centri di Gjader e Shengjin, nati dall’accordo Italia-Albania nel 2022, dovevano rappresentare la soluzione definitiva per gestire i flussi migratori nel Mediterraneo. L’idea era ambiziosa: dirottare altrove i migranti soccorsi in mare, evitando il loro ingresso in Italia e creando un effetto deterrente per le partenze. Ma dopo un anno e mezzo, i centri sono rimasti praticamente inutilizzati. I tribunali italiani hanno bloccato ogni tentativo di trattenimento nei centri albanesi, ritenendolo in contrasto con le norme europee.
Una soluzione tampone o un ulteriore fallimento?
Il ministro dell’Interno Matteo Piantedosi ha assicurato che l’operazione non comporterà costi aggiuntivi, sostenendo che il centro albanese si inserirà semplicemente nella rete nazionale dei CPR italiani, che oggi contano circa 1.000 posti complessivi ma ospitano solo alcune centinaia di migranti. Tuttavia, emergono già interrogativi sull’efficacia della misura.
Innanzitutto, il tasso di rimpatri effettivi dai CPR italiani è basso: solo il 50% delle persone trattenute viene effettivamente espulsa, mentre gli altri escono per mancate proroghe o decorrenza dei termini legali, nonostante il governo abbia esteso a 18 mesi il periodo massimo di permanenza. Inoltre, i costi operativi in Albania sono inevitabilmente più alti, considerando le indennità di trasferta per il personale e le complesse logiche di trasferimento.
Per alcuni migranti, poi, il percorso sarà ancora più tortuoso. Come ha spiegato lo stesso Piantedosi, alcune nazionalità potrebbero dover rientrare temporaneamente in Italia prima del rimpatrio definitivo, a causa di accordi bilaterali che prevedono il ritorno solo dal territorio italiano. Un sistema che rischia di complicare ulteriormente un processo già inefficiente.
Dubbi di legittimità e tensioni internazionali
La mossa del governo solleva anche seri dubbi di compatibilità con le normative europee. Sebbene Piantedosi abbia dichiarato di aver ottenuto un “via libera” dalla Commissione europea, trasferire migranti in attesa di rimpatrio in un Paese terzo come l’Albania non è previsto dalla direttiva UE sui rimpatri. La giurisdizione italiana sui centri albanesi – garantita dal Protocollo Italia-Albania – non elimina il fatto che le persone detenute saranno fisicamente trasferite in un territorio esterno all’Unione Europea.
Un altro problema riguarda l’accesso ai diritti fondamentali. Nei CPR italiani, già oggetto di critiche per violazioni documentate dei diritti umani, è difficile per i migranti esercitare il diritto a un ricorso effettivo. In Albania, questa difficoltà aumenterebbe: la distanza e la logistica renderebbero ancora più complesso per avvocati e organizzazioni umanitarie assistere i detenuti. Il Protocollo prevede persino rimborsi per gli avvocati che devono raggiungere Gjader, un dettaglio che evidenzia quanto sia impraticabile la situazione.
L’attesa per la Corte di Giustizia europea
Il governo guarda ora alla Corte di Giustizia europea, sperando in un pronunciamento favorevole sulla questione del trattenimento dei migranti e sui criteri per definire i “paesi sicuri”. Fino ad allora, però, il progetto originario di procedure accelerate di frontiera resta congelato. Le nuove regole europee in materia di immigrazione, attese entro il 2026, potrebbero offrire un quadro normativo più chiaro.