L’Albania diventa hub per i rimpatri: il governo apre il Cpr di Gjader tra polemiche

Il centro migranti in Albania

Il centro migranti in Albania

I centri di Gjader e Shengjin, nati dall’accordo Italia-Albania nel 2022, dovevano rappresentare la soluzione definitiva per gestire i flussi migratori nel Mediterraneo. L’idea era ambiziosa: dirottare altrove i migranti soccorsi in mare, evitando il loro ingresso in Italia e creando un effetto deterrente per le partenze. Ma dopo un anno e mezzo, i centri sono rimasti praticamente inutilizzati. I tribunali italiani hanno bloccato ogni tentativo di trattenimento nei centri albanesi, ritenendolo in contrasto con le norme europee.

Ora, il governo prova a dare una nuova vita almeno a Gjader, trasformandolo in un Centro di permanenza per il rimpatrio (CPR) per persone già presenti sul territorio italiano. Attualmente, la struttura metterà a disposizione solo 48 posti, che diventeranno 140 una volta completati i lavori. Ma questa scelta lascia inevitabilmente vuota gran parte della struttura, pensata originariamente per ospitare fino a 880 migranti in procedure accelerate di frontiera.

Una soluzione tampone o un ulteriore fallimento?

Il ministro dell’Interno Matteo Piantedosi ha assicurato che l’operazione non comporterà costi aggiuntivi, sostenendo che il centro albanese si inserirà semplicemente nella rete nazionale dei CPR italiani, che oggi contano circa 1.000 posti complessivi ma ospitano solo alcune centinaia di migranti. Tuttavia, emergono già interrogativi sull’efficacia della misura.

Innanzitutto, il tasso di rimpatri effettivi dai CPR italiani è basso: solo il 50% delle persone trattenute viene effettivamente espulsa, mentre gli altri escono per mancate proroghe o decorrenza dei termini legali, nonostante il governo abbia esteso a 18 mesi il periodo massimo di permanenza. Inoltre, i costi operativi in Albania sono inevitabilmente più alti, considerando le indennità di trasferta per il personale e le complesse logiche di trasferimento.

Per alcuni migranti, poi, il percorso sarà ancora più tortuoso. Come ha spiegato lo stesso Piantedosi, alcune nazionalità potrebbero dover rientrare temporaneamente in Italia prima del rimpatrio definitivo, a causa di accordi bilaterali che prevedono il ritorno solo dal territorio italiano. Un sistema che rischia di complicare ulteriormente un processo già inefficiente.

Dubbi di legittimità e tensioni internazionali

La mossa del governo solleva anche seri dubbi di compatibilità con le normative europee. Sebbene Piantedosi abbia dichiarato di aver ottenuto un “via libera” dalla Commissione europea, trasferire migranti in attesa di rimpatrio in un Paese terzo come l’Albania non è previsto dalla direttiva UE sui rimpatri. La giurisdizione italiana sui centri albanesi – garantita dal Protocollo Italia-Albania – non elimina il fatto che le persone detenute saranno fisicamente trasferite in un territorio esterno all’Unione Europea.

Un altro problema riguarda l’accesso ai diritti fondamentali. Nei CPR italiani, già oggetto di critiche per violazioni documentate dei diritti umani, è difficile per i migranti esercitare il diritto a un ricorso effettivo. In Albania, questa difficoltà aumenterebbe: la distanza e la logistica renderebbero ancora più complesso per avvocati e organizzazioni umanitarie assistere i detenuti. Il Protocollo prevede persino rimborsi per gli avvocati che devono raggiungere Gjader, un dettaglio che evidenzia quanto sia impraticabile la situazione.

Mentre Gjader cambia pelle, il destino del secondo centro, quello di Shengjin, rimane incerto. Pensato come un hotspot per le prime fasi di identificazione dei richiedenti asilo, non può essere utilizzato come CPR. Al momento, quindi, rischia di rimanere completamente inutilizzato.

L’attesa per la Corte di Giustizia europea

Il governo guarda ora alla Corte di Giustizia europea, sperando in un pronunciamento favorevole sulla questione del trattenimento dei migranti e sui criteri per definire i “paesi sicuri”. Fino ad allora, però, il progetto originario di procedure accelerate di frontiera resta congelato. Le nuove regole europee in materia di immigrazione, attese entro il 2026, potrebbero offrire un quadro normativo più chiaro.

Nonostante le difficoltà, il governo non rinuncia al suo obiettivo di ampliare la rete dei CPR. Piantedisi ha annunciato l’intenzione di aprire almeno cinque nuovi centri in Italia, di cui due sono già in fase avanzata di pianificazione. Ma l’efficacia di queste strutture rimane discutibile, così come la loro compatibilità con i principi fondamentali dei diritti umani.