L’uomo che uccise 49 persone in un nightclub di Orlando, lo scorso anno, aveva giurato fedeltà all’Isis; il cecchino che ammazzò cinque poliziotti a Dallas disse che il suo obiettivo era di colpire persone bianche; l’uomo che attaccò una chiesa frequentata da afroamericani a Charleston aveva pubblicato online un manifesto razzista. Uno dopo l’altro, gli autori delle sparatorie di massa negli Stati Uniti hanno fornito, direttamente o indirettamente, i motivi delle loro azioni. Cosa abbia spinto Stephen Paddock ad agire, a oltre quattro giorni dall’attacco condotto a Las Vegas, che ha provocato 58 morti e circa 500 feriti, resta invece ancora un mistero. “Per la sicurezza della comunità e di chiunque altro negli Stati Uniti, credo sia importante fornire questa informazione, ma non ce l’ho” ha ammesso ieri lo sceriffo Joseph Lombardo, del dipartimento della polizia metropolitana di Las Vegas. “Ancora non lo sappiamo”. Nessun manifesto politico è stato trovato. Dai racconti di parenti e vicini di casa, non è emerso nulla su un’ipotetica radicalizzazione dell’uomo o su eventuali comportamenti violenti da parte sua. Al contrario di altri killer, Paddock non ha chiamato la polizia per spiegare le sue motivazioni. L’Fbi ha portato i computer e i telefoni di Paddock nei suoi laboratori di Quantico, per analizzarli. Gli investigatori hanno interrogato la compagna dell’uomo, Marilou Danley, tornata martedì sera negli Stati Uniti, nel tentativo di comprendere qualcosa di quest’uomo; lo sceriffo Lombardo ha detto di non poter raccontare alla stampa quali informazioni siano state acquisite. Gli investigatori stanno girando il Paese per parlare con amici, parenti e conoscenti per trovare segnali di possibili disturbi mentali.
Paddock, scrive il New York Times, ha lasciato una traccia di indizi che finora sono più criptici che rivelatori. Per esempio, c’era un biglietto nella sua stanza d’albergo di Las Vegas, il cui contenuto non è stato rivelato. Lombardo ha detto che conteneva numeri che sono ora al vaglio degli investigatori e che non si trattava di un manifesto politico o di un messaggio suicida. Sembra che Paddock avesse cercato altri possibili posti, a Chicago e Boston, dove compiere lo stesso tipo di attacco, ovvero sparando dalle finestre di una stanza d’albergo su migliaia di spettatori. Tra i possibili obiettivi di Paddock ci sarebbe stato il festival di Lollapalooza a Chicago, che si è tenuto al Grant Park dal 3 al 6 agosto: secondo i media statunitensi, l’uomo avrebbe prenotato due camere di un albergo, il Blackstone Hotel, che affaccia sul parco dove era in programma, in quei giorni, il famoso festival musicale; Paddock, però, non si è mai presentato al Blackstone Hotel; secondo le fonti di Tmz, l’uomo avrebbe chiesto una stanza da cui potesse vedere il parco dove si svolgeva il festival, a cui hanno partecipato circa 400.000 persone, tra cui Malia Obama, la figlia maggiore dell’ex presidente Barack Obama. Paddock avrebbe cercato una stanza d’albergo anche a Boston, vicino al Fenway Park, lo stadio di baseball. La maggior parte degli hotel della zona, però, ha una visuale ostruita dell’impianto, o non ce l’ha affatto. Non si hanno informazioni su eventuali viaggi a Chicago o Boston, hanno detto le fonti. Le indagini si stanno anche occupando di scoprire se Paddock avesse prenotato degli appartamenti all’interno di un grattacielo di Las Vegas da cui avrebbe potuto colpire la folla che, dal 22 al 24 settembre, ha partecipato a un altro festival, il ‘Life is Beautiful’; ogni giorno, l’evento ha visto la partecipazione di circa 50.000 persone.
Nel corso degli ultimi mesi, Paddock ha acquistato una notevole quantità di armi e munizioni. Il fratello Eric ha raccontato alle tv statunitensi che non avrebbe mai immaginato che potesse succedere un evento simile: Stephen non aveva un’indole violenta, non aveva affiliazioni politiche o religiose, non aveva problemi economici. Nella pianificazione dell’attacco, però, ha riconosciuto il fratello: “Era capace di pianificare una cosa così, di fare una cosa così”, riferendosi per esempio al fatto che avesse creato una rete di videocamere per monitorare la situazione all’esterno della sua stanza d’albergo. La sparatoria di Las Vegas, da questo punto di vista, fa pensare al massacro all’Università del Texas, spesso descritta come la prima sparatoria di massa modera: un cecchino, Charles Whitman, uccise 14 persone sparando da una torre dell’orologio, dopo aver sterminato la propria famiglia; non si compresero mai i motivi delle sue azioni. “La parte più spaventosa di tutto ciò è non trovare o non conoscerne il motivo” ha detto George Brauchler, il procuratore del caso sulla sparatoria in un cinema di Aurora, in cui morirono 12 persone. “In molti casi, anche quando gli assassini danno un motivo, lo stanno facendo per impressionare il pubblico” ha detto Adam Lankford, professore dell’università dell’Alabama che ha studiato le sparatorie di massa. “Non necessariamente stanno fornendo la vera ragione delle loro azioni”.