Parlare di strategia condivisa è quantomeno azzardato. Sia Angelino Alfano che Silvio Berlusconi stanno giocando la propria partita individuale. Il primo per diventare sempre più la “coscienza critica” del governo, battendo i piedi sull’articolo 18, temi etici e legalità. Il secondo per riavvicinarsi all’esecutivo sulla spinta dell’”emergenza nazionale”. Eppure nelle ultime settimane le strade di Ncd e Forza Italia si stanno incrociando sempre più spesso. E così diventa naturale immaginare di fare “asse” per provare a mettere Renzi all’angolo. E magari costringerlo a rompere con l’ala più massimalista del Pd. I tentativi di riavvicinamento non sono certo cominciati ieri. Fin dalla battaglia comune sul presidenzialismo Alfano e Berlusconi hanno dimostrato di parlare ancora, su svariati temi, lo stesso linguaggio. E così l’ex premier, incassata l’assoluzione nel processo Ruby, ha preso carta e penna per scrivere una lettera ai “moderati” e invitarli a tornare insieme. La risposta di Alfano, in realtà, non fu delle più confortanti. “Berlusconi non dice niente sulla legge elettorale. Come possiamo allearci con chi vuole soffocarci in culla?”. Eppure proprio su questo punto, nelle ultime settimane, il Cavaliere sembra aver dato prova di buona volontà aprendo per la prima volta a una revisione dell’Italicum con l’introduzione di soglie più basse per l’accesso al Parlamento.
Anche la manovra di riavvicinamento al governo viene condotta all’insegna del fair play. Berlusconi ha smentito ogni ipotesi di un suo corteggiamento ai senatori dell’Ncd (“semmai sono alcuni di loro che chiedono di parlare con me…”) e sul Mattinale, quando si invita Renzi ad adottare le politiche del centrodestra in campo economico per uscire dalla crisi, sempre più spesso si fa riferimento all’”agenda Alfano-Brunetta” del 2013. Due nomi che, scritti vicino, ora fanno un certo effetto. L’ultima convergenza è quella sull’articolo 18. È bastato che Alfano ipotizzasse il suo superamento, magari già nel prossimo Cdm del 29 agosto, per creare una crisi di panico a sinistra. Con la prevista levata di scudi della Cgil e la protesta dell’ala sindacale del Pd, con l’ex ministro del Lavoro Cesare Damiano in testa. All’Ncd, però, è arrivato prontamente il sostegno di Forza Italia. Non bastassero le continue manifestazioni di disponibilità a votare provvedimenti di emergenza con il governo – dopo Brunetta, ieri è stata la volta di Toti e Tajani – gli azzurri hanno deciso di far propria la bataglia sullo statuto del lavoro: “Per noi è una questione di economia – era scritto nel Mattinale – non di revanche o di impuntatura ideologica: nei momenti di crisi occorre garantire, nel mercato del lavoro, il massimo della flessibilità in entrata e in uscita. Tre anni di moratoria dell’art. 18 per i nuovi assunti”.
Una presa di posizione simultanea che ha costretto in qualche modo Renzi a rompere il silenzio sul tema: “Oggi l’art. 18 è solo un simbolo, un totem ideologico, proprio per questo trovo inutile stare adesso a discutere se abolirlo o meno” ha detto in un’intervista a Millennium. “È giusto riscrivere lo statuto dei lavoratori? Sì, lo riscriviamo. Ma non parliamo solo dell’art. 18. Parliamo di come dare lavoro alle nuove generazioni”. Una piccola concessione che è destinata a creare qualche crepa nel Pd. Nella quale Forza Italia spera di inserirsi. Anche se, su questo Renzi ha provato ancora una volta a sgombrare il campo da ogni dubbio: “Per noi l’accordo con Forza Italia è su due punti: le riforme istituzionali e la legge elettorale”.