L’attore che rifiutò l’etichetta di divo: il lasciato di Paul Newman a 100 anni dalla nascita

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Paul Leonard Newman

In un’epoca in cui il glamour e il fascino si misurano con nuove metriche, Paul Leonard Newman, noto come l’iconico “uomo dagli occhi di ghiaccio”, avrebbe celebrato il suo centesimo compleanno, nato il 26 gennaio 1925 nella raffinata Shaker Heights, Ohio. La sua figura, un tempo acclamata come l’apice della bellezza maschile, continua a sfidare i canoni estetici di Hollywood, pur essendo l’ultimo ad accettare l’etichetta dorata di divo.

Newman, cresciuto sotto il rigido scrutinio del sistema degli Studios, ha saputo navigare il mare della celebrità con una bussola tutta sua, rifiutando il copione imposto dall’industria per scrivere un capitolo del tutto personale sul libro dei ribelli. In questo, ha trovato confronto e contrasto con le leggende del suo tempo: Marlon Brando, James Dean e Steve McQueen, ciascuno con la propria interpretazione della disobbedienza artistica. Con Brando, una rivalità di palcoscenico; con Dean, un destino sfiorato durante i provini per “La valle dell’Eden”; con McQueen, una competizione accesa sia sul grande schermo che sui circuiti di gara.

La personalità di Newman avrebbe offerto un caso studio intrigante per Freud, esplorando come un uomo possa superare le ombre della propria giovinezza. Figlio di un padre ebreo, commerciante di articoli sportivi, e di una madre slovacca fervente seguace della Christian Science, Newman ha trascorso la sua infanzia sotto lo sguardo critico di due mondi culturali, cercando sempre di elevarsi all’altezza paterna. Il suo primo incontro con il palcoscenico a soli sette anni, interpretando Robin Hood, fu solo l’inizio di una carriera che avrebbe ridefinito le aspettative per un attore.

In un’intervista memorabile del 1986 al New York Times Magazine, Newman scherzava, immaginando un epitaffio che avrebbe ridicolizzato la sua carriera se i suoi iconici occhi azzurri fossero mutati in marrone. Questo aneddoto rifletteva il suo disagio con l’ossessione della cultura per l’apparenza, preferendo una vita più ritirata, magari nella sua amata casa di campagna nel Connecticut, lontano dai riflettori e dalle richieste incessanti di autografi.

Ma Newman non era solo un attore; era un pilota di auto da corsa, un attivista politico, e un filantropo la cui eredità supera di gran lunga le sue performance cinematografiche. Ha portato il suo nome a sostegno di movimenti di giustizia sociale, sostenendo candidati democratici e posizionandosi contro la guerra in Vietnam, guadagnandosi l’ostilità del presidente Nixon, un risultato che Newman ricordava con orgoglio.

Le sue iniziative benefiche, come la fondazione di “Hole in the Wall” per i bambini con malattie gravi e la creazione del marchio Newman’s Own, hanno redistribuito oltre 250 milioni di dollari in donazioni, dimostrando che la sua vera passione era fare del bene, non solo apparire sul grande schermo. Negli ultimi decenni della sua vita, Newman ha ridotto la sua presenza cinematografica, preferendo ruoli più profondi che esploravano la complessità dell’umanità, come nel film “Era mio padre” di Sam Mendes. Anche dopo la sua morte nel 2008, la sua voce continua a risuonare attraverso personaggi animati come Doc Hudson in “Cars”.

Le figlie di Newman hanno descritto il loro padre come un simbolo di umiltà generosa, riconoscendo che i suoi ruoli più significativi non erano quelli che brillavano sui manifesti, ma quelli che illuminavano le vite degli altri. Un secolo dopo la sua nascita, Paul Newman rimane non solo una stella del cinema, ma un faro di umanità e integrità.