Di austerity si può morire, ma se la cura funziona il ‘paziente’ può sopravvivere e risollevarsi. È la lezione della lunga crisi del debito sovrano, innescata dai mercati finanziari nel 2007-08 ed esplosa poi nel 2010-11, tra salvataggi e aiuti esterni condizionati alle riforme. Terapie adottate con l’obiettivo di risanare i conti pubblici e far ripartire l’economia con più flessibilità nel mercato del lavoro. E dopo alcuni anni, col nuovo piano di aiuti per la Grecia, si può tracciare un bilancio di questa ‘cura’ fatta di sacrifici e scelte impopolari, con risultati a volte positivi per il Pil ma sempre con un alto prezzo da pagare in termini sociali. Un cambiamento strutturale così profondo da stravolgere anche gli equilibri politiche, con nuovi partiti e movimenti che intercettano il disagio sociale e in diversi paesi sono ora la nuova incognita per il futuro. La ricetta di austerità e riforme, se si considerano solo il Pil e la finanza pubblica, è stata abbastanza efficace solo per Irlanda e Spagna, mentre in Portogallo e Italia (che però non ha ricevuto aiuti) i risultati finora sono stati più modesti. In Grecia invece il rigore ha stremato il paese, costringendo Atene a una trattativa durissima per evitare il collasso economico. Se si guarda al mercato del lavoro, però, solo l’Irlanda sta riducendo sotto il 10% il tasso di disoccupazione, mentre negli altri ‘Piigs’ si resta su valori molto elevati, con la Grecia che ha un disoccupato ogni quattro lavoratori.
La Spagna nel 2015, a tre anni dal ricorso al fondo europeo salva-Stati, dovrebbe avere una buona crescita del Pil (+2,8%), un debito pubblico al 100,4% e un deficit-Pil ancora elevato al 4,5%. La ripresa non porterà però a un calo significativo della disoccupazione, prevista ancora su livelli greci (22,4%). E dopo anni di tagli alla spesa pubblica, riduzione dei salari e aumento della flessibilità in uscita, sulla scena politica è apparso Podemos, un partito di sinistra radicale fondato nel 2014 che sta sbaragliando l’assetto politico tradizionale fondato sul binomio socialisti-popolari. L’Irlanda, colpita duramente dalla crisi finanziaria già nel 2008, quest’anno dovrebbe avere una crescita dell’economia ancora più robusta (+3,6%), con un debito pubblico abbastanza elevato (107,1%) e un disavanzo in discesa sotto il 3% (2,8%). Anche il mercato del lavoro è in miglioramento, con i disoccupati al 9,6%, grazie anche alla forte attrattività del paese per gli investimenti stranieri e le multinazionali, agevolate da un’imposizione fiscale corporate molto competitiva. Ma tra massicce privatizzazioni (come in Spagna), una patrimoniale sul reddito e la compressione dei salari (in media -15%), gli irlandesi mostrano segni di malcontento che alle elezioni del 2016 potrebbero cambiare lo scenario politico basato sulla coalizione laburisti-conservatori.
Il Portogallo è in austerity dal 2011, con aiuti per 78 miliardi di euro, ed è uscito dal piano di bailout un anno fa. Nel 2015 il Pil dovrebbe aumentare dell’1,6%, con un debito pubblico ancora molto alto al 124,4% e un deficit al 3,1%. La disoccupazione però resta significativa, prevista al 13,4% sui livelli italiani. I sacrifici per i portoghesi, supervisionati dalla troika, sono stati molto pesanti con un forte inasprimento fiscale, diverse riforme del mercato del lavoro con più flessibilità e un intervento drastico sul pubblico impiego. L’impatto sociale è stato durissimo e anche qui, con le elezioni previste in autunno, le forze politiche anti-austerità sono in forte crescita. L’Italia è in terapia forzata dal 2011, anche se non ha dovuto ricorrere a piani di salvataggio. I risultati finora sono modesti, con il Pil che tornerà a crescere nel 2015 ma solo dello 0,6%, il debito sempre molto elevato (133,1%) e il disavanzo appena sotto il 3% (2,8%). Il tasso di disoccupazione è previsto al 12,4%, con i giovani e le donne più penalizzati dalla mancanza di posti di lavoro. Tra governi tecnici, larghe intese e l’ascesa di Matteo Renzi, ci sono stati un intervento pesante sulle pensioni con la legge Fornero, il blocco dei contratti per i dipendenti pubblici e riforme del mercato del lavoro all’insegna della flessibilità culminate col Jobs act. Il disagio sociale ha cambiato profondamente il quadro politico, con il M5S affermatosi come nuova realtà con un effetto dirompente sugli equilibri anche a livello europeo.
La Grecia invece è la vittima dell’austerity. Sull’orlo della bancarotta già nel 2009, riceve gli aiuti internazionali e avvia interventi pesanti, rischiando però in questi giorni il default e l’uscita dall’euro. Quest’anno dovrebbe tornare alla crescita con un modesto +0,5%, con un debito record al 180,2% e un deficit limitato però al 2,1%. La disoccupazione si manterrà altissima, al 25,6%. In questi anni ci sono stati diverse riforme delle pensioni, forti aumenti delle tasse, un drastico ridimensionamento del pubblico impiego (25mila esuberi), ma il paese non è riuscito rimettersi in piedi e si parla ormai di emergenza umanitaria. E anche dopo l’ultimo accordo con i creditori, per la sinistra radicale di Syriza, arrivata al governo in primavera, il compito di risollevare il paese ellenico resta difficilissimo.