Il Miur conferma le buone prospettive. Secondo i dati del Ministero dell’Istruzione, i laureati in Italia nel 2012 nelle facoltà di informatica e ingegneria informatica sono stati 6.732, ma gli iscritti al primo anno delle medesime facoltà nel 2014 si erano quasi dimezzati (3.646). L’offerta di lavoro nei settori collegati resta invece alta il che significa che nei prossimi anni ci troveremo ad avere carenza di profili ICT rispetto alle capacità del mercato. Un ritardo odierno che può però trasformarsi in una risorsa per l’avvenire. Il trend delle iscrizioni è infatti tornato a crescere. Segno che la statistica sta facendo breccia anche nella mente dei ragazzi e nei cuori delle famiglie. “Dopo il calo dei primi anni duemila, la tendenza si è invertita e dal 2008/09 al 2013/14 le immatricolazioni dell’ateneo sono salite del 9%, in particolare grazie alla crescita di ingegneria”, sottolineano dal Politecnico di Milano. Scegliere una facoltà che offre buone opportunità di lavoro è sicuramente un passo importante nella carriera accademica. Se il pezzo di carta però è condizione necessaria, non è, almeno di per sé, anche sufficiente. Serve sicuramente un miglioramento nella conoscenza delle lingue straniere e dell’inglese in particolare. Si tratta di un dato critico per un Paese per il quale l’internazionalizzazione resta un passaggio chiave quanto delicato.
L’istituzione di insegnamenti e corsi di laurea erogati in lingua inglese è un passo importante in questa direzione, poiché l’internazionalizzazione dell’economia passa anche dall’internazionalizzazione dell’istruzione. “Le aziende che sono cresciute negli ultimi anni di crisi sono state quelle capaci di esportare, viste le difficoltà della domanda interna”, conferma il professor Taisch. “Lo studente straniero in questo contesto non porta via il lavoro a quello italiano ma anzi arricchisce la classe, porta multiculturalità e fa da testa di ponte verso i mercanti globali”. Al Politecnico il numero di alunni stranieri era 750 nel 2003/04 (2% degli iscritti) ed è salito, dieci anni dopo, a quasi 4000 unità (10% degli iscritti), con 115 nazioni rappresentate. C’è di più: chi studia qui per anni impara anche l’italiano, e spesso e volentieri si ferma a lavorare nel nostro Paese. I ragazzi provenienti dall’estero hanno visto premiata la loro scelta anche nei tassi di occupazione, analoghi ai loro colleghi locali: a un anno dalla laurea il tasso di occupazione è del 90% e il 30% di loro è impiegato in imprese italiane.