Lega tenta blitz su dl elezioni. Altolà Meloni: basta distinguo
Premier preoccupata da fughe in avanti. Ipotesi lasciare Veneto a Salvini per stemperare tensioni
Una spaccatura, del tutto attesa, sul terzo mandato. Ma anche uno scontro, che si ferma appena prima di superare l’orlo del baratro, sullo stop ai ballottaggi per i sindaci. Se l’aula del Senato alle prese con l’esame del decreto elezioni può essere considerata la stazione meteo da cui misurare il clima nella maggioranza, il responso è chiaro: tempesta all’orizzonte.
La tregua, fortemente voluta da Giorgia Meloni, siglata a palazzo Chigi dai leader dei partiti della maggioranza all’indomani della vittoria in Abruzzo, dimostra immediatamente la sua fragilità. Il grimaldello sono due emendamenti della Lega che si conferma agli occhi di Fratelli d’Italia l’osservato speciale della maggioranza. Uno è appunto quello che mira a introdurre la possibilità di un terzo mandato per i presidenti di Regione. In aula si ripete esattamente lo stesso copione già andato in scena in commissione: il governo si rimette all’aula, la proposta viene bocciata, la maggioranza si spacca lasciando il partito di Salvini isolato, ma resta in piedi la narrazione che la questione è circoscrivibile alla normale dialettica parlamentare, ergo non tocca il governo.
Il secondo emendamento, presentato invece a sorpresa, è quello che abolisce i ballottaggi per i sindaci se al primo turno si raggiunge il 40%. Gli altri partiti della coalizione sarebbero anche d’accordo nel merito, ma la proposta arriva come una doccia fredda, senza che se ne sia discusso, e suscita immediatamente l’indignazione del Pd e dell’Anci. Alla fine, per evitare che le votazioni in Senato certifichino un’altra spaccatura nella maggioranza, si stabilisce un invito al ritiro da parte del governo e la decisione della Lega di trasformarlo in un ordine del giorno. Ma al di là dei tecnicismi parlamentari, ovviamente, il nodo resta tutto politico e ha a che fare con una coalizione in cui gli equilibri stanno cambiando, e lo stanno facendo a sfavore di Matteo Salvini come le ultime tornate elettorali in Sardegna e Abruzzo hanno dimostrato.
Per il segretario lumbard all’orizzonte c’è un doppio problema: il rischio che le Europee certifichino il sorpasso su tutto il territorio nazionale di Forza Italia, e un suo conseguente indebolimento come leader, e poi il ruolo di Luca Zaia. In Fratelli d’Italia si sospetta che l’insistenza della Lega sul terzo mandato, anche di fronte a bocciatura certa dell’emendamento, sia fatta per tenere buono il governatore del Veneto e dimostrare che è stato fatto di tutto per provare a difendere il suo diritto di rimanere ‘doge’ indiscusso. Una mezza prova di questa lettura sta nel tentativo, promosso dal capogruppo Massimiliano Romeo poco prima del voto del Senato, di chiedere al governo la possibilità di trasformare in ordine del giorno anche l’emendamento sul terzo mandato. Ipotesi che, però, avrebbe trovato anche la contrarietà di Forza Italia.
E tuttavia, a prescindere da Zaia, Giorgia Meloni negli ultimi giorni sarebbe diventata più possibilista sulla ipotesi di lasciare al Carroccio la facoltà di indicare il prossimo governatore del Veneto, sebbene le ultime Politiche abbiano certificato che da quelle parti la prima forza è Fratelli d’Italia. Un modo per stemperare le tensioni, anche considerando che una sempre più probabile candidatura di Meloni alle Europee (e conseguentemente di Tajani) rischierebbe di penalizzare ancora di più il ministro dei Trasporti. Un alto dirigente del partito della premier la mette così: “Se vedi il tuo alleato al muro, non puoi sparare”.
Non è un caso che il coordinatore veneto di Fdi, Luca De Carlo, considerato papabile candidato meloniano alla successione di Zaia, abbia cominciato a correggere il tiro. E se appena un mese fa definiva giusto che la Regione Veneto andasse al suo partito dal momento che alle ultime elezioni era stato votato da un terzo degli abitanti, ora i toni sembrano più prudenti. “In politica – spiega – un anno e mezzo è una eternità. Vedremo cosa accadrà ma nel frattempo dedichiamoci ai quasi 60 milioni di italiani, non solo al destino di quattro”.