Ai ballottaggi non si sente l’effetto Renzi. E non si sente nemmeno l’effetto Grillo. La grande paura che la vittoria del Movimento 5 Stelle aveva portato Renzi a calamitare buona parte del voto moderato, è svanita nel secondo turno delle amministrative. Al Pd capita anche di perdere, sul territorio sembra un altro partito rispetto a quello che appena due settimane fa aveva incassato un lusinghiero quanto storico 40,8%. Come è stato possibile? Le analisi possono essere varie. Intanto quando c’è da esprimersi a livello nazionale gli italiani hanno dimostrato che votano molto con il portafoglio. Timorosi per lo spread in crescita e soprattutto spaventati dalla possibilità di veder sfuggire anche quel pezzo di ripresa che si scorge all’orizzonte, gli elettori hanno dato una grande fiducia a Renzi alle Europee di fine maggio. Quindici giorni dopo, quando c’è da scegliere il sindaco, il conto corrente conta meno. Ancora meno pesa il voto ideologico, il voto di appartenenza. L’elettorato, e questo è un dato in continuità con quanto espresso dell’urna per il rinnovo del Parlamento continentale, appare sempre più mobile, pronto a scegliere un partito nuovo. E (su tutto) a cambiare, visto che rimangono sconfitti da queste urne molti dei sindaci uscenti sono stati sconfitti in virtù del ‘nuovo che avanza’.
Il centrosinistra perde Livorno, è la fine del predominio di sinistra dopo 68 anni nella città che nel 1921 vide la nascita del Partito comunista italiano. Vince un grillino. Perde Perugia, altro Comune da decenni in mano rossa. E perde Padova, Nord produttivo, a pochi chilometri dalla Venezia travolta dagli scandali. Perde Potenza, altra città saldamente in mano democratica. Prova a tirare su il morale Lorenzo Guerini, vicesegretario del Pd: “La netta vittoria alle amministrative è merito di tutto il Partito Democratico. Così come tutto il Pd rifletterà e si confronterà sui pochi casi in cui il risultato non è stato soddisfacente”. E aggiunge: “I numeri non mentono: abbiamo conquistato 160 comuni sopra i 15mila abitanti, 32 in più rispetto a prima e siamo passati da 15 a 19 capoluogo di provincia. In particolare abbiamo preso tutto il Nord. Ad esempio ricordo ancora quando da sindaco di Lodi ero l’unico amministratore del centrosinistra di una città capoluogo in tutta la regione. Oggi in Lombardia governiamo in tutti i capoluogo, eccetto Varese. Se non è vittoria questa…! Il resto sono chiacchiere”.
Matteo Renzi, in viaggio verso l’Oriente, parla da Hanoi, capitale del Vietnam, per ricordare che il risultato “è strepitoso”, di quelli che se qualcuno lo avesse pronosticato prima del voto “io ci avrei messo la firma”. Ma, ammette, questa tornata elettorale “segna la fine delle posizioni di rendita elettorale. È finito – sottolinea il premier e segretario Pd – il tempo in cui qualcuno sa che in quel posto lì vince di sicuro”. Nulla è lì per sempre. Renzi ne era consapevole all’indomani di quel quasi 41 per cento, era conscio del fatto che quel risultato era arrivato bruciando le tappe ma che altrettanto rapidamente sarebbe potuto andare via. Nulla è immutabile, anzi. L’elettorato si sta mostrando sempre più mobile, sempre meno legato alle bandiere. Anche per questo, a giudizio di Renzi adesso non è il caso di aprire la discussione dentro il Pd. Almeno non ora. (Il Tempo)