Prima la discussione, poi i nomi. Enrico Letta convoca la direzione Pd e cerca di stoppare sul nascere la corsa all’auto-candidatura al congresso del partito. Il segretario non intende ripresentarsi, ma nemmeno vuole assistere ad una corsa scomposta che rischia di esporre il partito alle incursioni esterne, dal centro e da sinistra, e tantomeno a delle assise centrate sull’eventualità di riallacciare un’alleanza con Giuseppe Conte. Perché, appunto, il più grande timore è quello di uno scenario tipo Ps francese, con le Opa ostili dei centristi e del Movimento 5 stelle. “Verso il Congresso del nuovo Pd – scrive Letta su Twitter – Convocheremo giovedì 6 la direzione. Per un percorso congressuale inclusivo e aperto che vada alla radice dei problemi e affronti le sfide che stanno di fronte alla nostra comunità. E per poi scegliere di conseguenza chi ci guiderà in futuro”.
Una sorta di mozione d’ordine, un modo per riportare un minimo di disciplina in un partito che molti chiedono di superare e nel quale fioccano le candidature alla segreteria. Ci sono in pista – anche se non ufficialmente – i nomi di Stefano Bonaccini, al quale una parte della sinistra del Pd e del mondo di sinistra fuori dal Pd vorrebbe contrapporre Elly Schlein. E poi ci sono le candidature di Matteo Ricci e Paola De Micheli, c’è il sindaco di Bologna Matteo Lepore che chiede una “costituente del nuovo Pd”, dopo che ieri era stato Andrea Orlando a chiedere una “grande costituente” aperta a tutta la sinistra, quella che ha votato M5s e quella che ha votato per Calenda. Senza contare Pier Luigi Bersani che da tempo chiede l’apertura di un percorso che porti ad un nuovo soggetto politico. Ma non si tirano indietro nemmeno il sindaco di Bari Antonio Decaro e quello di Firenze Dario Nardella.
“Il congresso si farà, e presto – assicura un dirigente – ma prima faremo una discussione politica vera e poi andremo sui nomi”. Discussione che, appunto, ha a che fare con la natura stessa del partito. Come dice uno dei principali dirigenti: “Oggi stanno venendo al pettine i nodi. Il tema vero è: chi sei, a quale categoria sociale parli. Non bisogna prendere la scorciatoia di cambiare solo il segretario o usare le alleanze per darsi un’identità”. E, avverte il dirigente Pd, una netta svolta a sinistra – vagheggiata da molti – “sarebbe la fine. Il Pd ha senso se torna un po’ alle origini, se fa un ragionamento molto più largo. Più che alla Francia e a Melenchon io guarderei alla Germania, alla Spd”.
Simile il ragionamento di un altro dirigente del partito: “Possiamo avere il Pd di Bonaccini o quello di Elly Schlein: in entrambi i casi c’è il rischio di una scissione. A meno che non si torni all’idea iniziale di Pd: ma per farlo bisogna sciogliere le correnti, fare una rivoluzione copernicana”. Intanto si comincia a ragionare anche dei capigruppo. Qualcuno ipotizza il congelamento delle cariche attuali, in attesa del congresso. Altri lo escludono, “i gruppi sono autonomi, non possiamo aspettare le assise, c’è da fare opposizione subito”. Un parlamentare la mette così: “Se si trova un accordo largo, condiviso da tutti, su due nomi, allora ha senso eleggere subito nuovi capigruppo. Che resterebbero chiunque vinca il congresso. Altrimenti meglio confermare per ora le capigruppo attuali”.