“Cosi’ sulle macerie delle parole e degli ascolti, dentro il deserto del carcere, poveri in mezzo ai poveri e tutti nella miseria – aggiunge Cuffaro – abbiamo sperato ancora. E’ proprio dentro questo vivere che abbiamo capito che e’ cambiata la nostra storia e la nostra vita”. “E’ in questo luogo – prosegue l’ex presidente della Regione – che molti di noi hanno trovato l’appuntamento decisivo per l’incontro fondamentale con Chi eravamo convinti di avere incontrato e invece non conoscevamo a fondo. Credevamo di averlo trovato nella liturgie a cui avevamo preso parte, di averlo raggiunto nei pellegrinaggi che avevamo fatto, di esserci stati accanto in meditazione nei ritiri spirituali, ma oggi possiamo dire che l’incontro che veramente ce lo ha fatto conoscere e’ accaduto qua dentro. In questo luogo, senza cercarla ne’ aspettarla abbiamo sentito la Sua voce: inconfondibile. In questo luogo che tenta di far scomparire l’uomo Lui ci ha svelato la sua dimensione essenziale”. “E’ disumano – scrive Cuffaro – voler annullare l’uomo. Nessuna disumanita’ e’ piu’ grande che far scomparire la persona che ognuno di noi e’: precisamente questa e’ la disumanita’ del nostro tempo. E lo Stato oggi da’ per legge, come mandato al carcere, proprio questa disumanita’, mortificare e far sparire l’ ‘io’ dei detenuti. Ma un avvenimento che ha la forma di un incontro puo’ salvare. L’incontro fa percepire e fa scoprire il senso della propria dignita’. E siccome la personalita’ umana e’ composta di intelligenza, di affettivita’ e di liberta’, in quell’incontro l’intelligenza si desta in una volonta’ di verita’ nuova e l’ ‘io’ incomincia a fremere di una affezione alla vita, a se’, agli altri, che prima non aveva”.
“Ma l’avvenimento – aggiunge Cuffaro – deve essere riconosciuto ed e’ necessario ‘un io che lo accolga’, soprattutto se e’ un ‘io’ mortificato qual e’ quello del detenuto, che ha pero’ un cuore liberamente disponibile ad accoglierlo. Senza cuore, senza che tu abbia cuore, senza che tu sia capace di conservare il cuore che ti e’ stato dato, senza cuore Dio non puo’ far nulla. Essere se stessi e’ la risorsa piu’ importante per frenare l’invadenza del carcere, per salvaguardare la propria coscienza e allontanare il pericolo che il carcere alimenta, lusingando la sperdutezza della memoria. E’ cosi’, direttore, abbiamo riconosciuto la Sua voce: l’uomo ha questa capacita’ di riconoscere la ‘voce buona’ che chiama all’incontro decisivo. La voce e’ inconfondibile. Possiamo non risponderle e tapparci l’animo. Ma e’ impossibile non riconoscerla. In tanti abbiamo risposto con il piu’ forte grido di dolore che si potesse emettere, perche’ meglio fosse raccolto dal Cielo: abbiamo gridato e ci siamo sentiti liberi. Abbiamo sentito dentro la nostra carne il dolore, abbiamo capito che dentro il nostro dolore c’era anche la sofferenza degli altri e la sofferenza Sua. Per questo, direttore, vogliamo gridare ancora piu’ forte, vogliamo riuscire a gridare al posto di chi qua dentro non ha la capacita’ o la forza di gridare nonostante soffra molto. Vogliamo gridare il dolore di chi non vuole ascoltare e non sa rispondere alla ‘voce buona’. Soffrire per gli altri e’ una grande forma di amore e se gridiamo il nostro e il loro dolore, liberiamo la nostra liberta’. Giovedi’ 2 aprile 2015 la voce del Papa era stanca e addolorata ma era ‘la voce buona’, noi detenuti l’abbiamo riconosciuta subito. Lui era Cristo. Grazie, Francesco”, conclude Toto’ Cuffaro.