Ci sono buoni motivi per considerare positiva la rivelazione dell’identità della scrittrice Elena Ferrante. L’afferma oggi il poeta e critico Adam Kirsch, intervenendo con un editoriale sul New York Times. Il mondo letterario, domenica, è stato sconvolto da un’inchiesta condotta dal giornalista italiano Claudio Gatti e pubblicata su diverse testate internazionali, nel quale è stato rivelato il nome della scrittrice, che in realtà sarebbe la traduttrice letteraria Anita Raja, moglie di un altro famoso scrittore italiano, Domenico Starnone. I lettori e molti scrittori hanno tuttavia vivamente protestato contro l’inchiesta del giornalsita, giudicata invasiva perché basata su un’indagine relativa alle entrate economiche della scrittrice e lesiva del suo diritto creativo di continuare a scrivere con uno pseudonimo. Ferrante, un fenomeno letterario da due milioni e mezzo di copie in tutto il mondo e presente sui comodini di Barack Obama e Hillary Clinton, racconta nela sua tetralogia la storia di due ragazze napoletane, riflettendo il contesto partenopeo, tanto che molti lettori hanno pensato che riflettesse il dato biografico della scrittrice. Tuttavia, l’inchiesta di Gatti ha evidenziato che, pur essendo nata a Napoli, Raja ha lasciato la città e vive a Roma dall’età di tre anni.
Le reazioni di rabbia e disgusto dei lettori di Ferrante all’inchiesta “sono comprensibili; ed è sicuramente vero che l’indagine effettuata che ha portato alla rivelazione di Raja è stata più simile a un’indagine criminale che a critica letteraria”. Tuttavia, ha aggiunto Kirsch, “è anche vero che l’anonimato per ogni scrittore è un ripiego. Anche gli pseudonimi dei più famosi scrittori non sono rimasti segreti a lungo” a partire da quello di George Elion, che dopo pochi anni divenne evidente essere una donna, Mary Ann Evans. Per Kirsch, comunque, ci sono motivi per considerare positiva la rivelazione dell’identità della Ferrante. “Nelle settimane recenti, il mondo letterario è andato in conflitto sull’idea dell’appropriazione culturale, cioè sull’idea che uno scrittore abbia il diritto di raccontare storie su persone che non siano se stesso”, dice il poeta.Raja, “una delle scrittrici più amate al mondo”, rappresenta così un esempio chiaro del potere dell’appropriazione. “Raccontando la storia di povere ragazze napoletane come Linda ed Elena, Raja ha rivendicato il diritto di immaginare le vite di gente abbastanza diversa da se stessa. Facendolo, ha potuto scrivere libri nei quali milioni di persone si sono potute identificare: libri sul femminismo e il patriarcato, la povertà e la violenza, l’educazione e l’ambizione”. Ed è questo “il paradosso della letteratura, che è anche la gloria dell’umanesimo: l’idea che nulla di umano sia aliento ad alcuno di noi, che tutti abbiamo il potere d’immaginarci alla maniera nostra nelle vite di altri”.