L’ex Br Lojacono: l’Italia non ha mai chiesto l’estradizione. Fioroni: poteva parlare da Svizzera

L’ex Br Lojacono: l’Italia non ha mai chiesto l’estradizione. Fioroni: poteva parlare da Svizzera
Aldo Moro e la strage di Via Fani
19 gennaio 2019

“L’Italia non ha mai chiesto l’estradizione”, lo ha detto dalla Svizzera l’ex Br Alvaro Lojacono, che dopo vent’anni di silenzio ha concesso un’intervista a Ticinonline/20Minuti, dove rivela anche che accetterebbe, a fronte di una richiesta di exequatur, anche di scontare un ergastolo ma in Svizzera. Alvaro Lojacono, detto “Varo”, romano di nascita è un ex brigatista italiano con cittadinanza svizzera.

Figlio dell’economista e esponente romano del PCI Giuseppe Lojacono e della cittadina svizzera Ornella Baragiola, in Svizzera ha preso la cittadinanza come Alvaro Baragiola. Il sessantaduenne è stato coinvolto nell’omicidio di Mikis Mantakas, Girolamo Tartaglione e nella Strage di via Fani. Nel 1980 è espatriato prima in Algeria, poi in Brasile e infine in Svizzera dove sotto mandato di arresto internazionale è stato messo in detenzione preventiva con l’accusa di aver partecipato agli avvenimenti di via Fani e di aver ucciso il giudice Girolamo Tartaglione. Il 6 novembre 1989 la corte di assise del Canton Ticino lo condannò a 17 anni di prigione per l’assassinio del giudice Tartaglione e due tentativi di rapina a mano armata. Nel giugno del 2000 viene arrestato sulla spiaggia dell’Isola Rossa, vicino a Bastia, in Corsica, su mandato di cattura della magistratura italiana. Ottenne però la scarcerazione ed evitò l’estradizione in Italia in quanto il diritto francese non riconosce la condanna in contumacia e il diritto svizzero non prevede l’estradizione per i propri cittadini.

l’ex Br Alvaro Lojacono

“Per cominciare – prosegue  Lojacono nell’intervista a Ticinonline/20Minuti – tengo a precisare che l`Italia non ha mai chiesto la mia estradizione alla Svizzera (il fatto è accertato dalla sentenza del Tribunale federale del 9 aprile 1991), ed una ‘consegna’ come la richiede la Lega equivarrebbe a una deportazione alla boliviana, che la Confederazione non prevede”. Lojacono condannato in Italia all’ergastolo per la strage di via Fani, è oggi cittadino svizzero e ha scontato una condanna in Svizzera per i fatti imputati in Italia, ma “l`Italia non riconosce, né può riconoscere, la carcerazione sofferta in Svizzera per gli stessi fatti e reati perché non solo non ha chiesto alla Svizzera l`estradizione, ma neppure ha chiesto alla Confederazione di processarmi in Svizzera”. E perché l’Italia non avrebbe chiesto l’estradizione? “Io non lo so e posso solo fare delle ipotesi, forse l`Italia non ha voluto che uno stato straniero mettesse il naso nel processo Moro. Sarebbe comprensibile. Qualunque sia la ragione – aggiunge l’ex brigatista – non sono le autorità svizzere, né una mia presunta opposizione, ad aver creato l`impasse attuale”.

E se l`Italia presentasse una richiesta di exequatur richiesta di exequatur, (cioè di esecuzione in Svizzera delle condanne italiane) corretta e completa (cioè per tutte le condanne italiane cumulate), con la garanzia che l`Italia non precederà più per gli stessi fatti. Lei come reagirebbe? Chiede l’intervistatore. “Sono passati 40 anni e l`Italia si è sempre mossa in una logica di vendetta, come si è ben visto anche nel caso Battisti, e non ha mai rinunciato a un quadro giuridico d`eccezione. In una giustizia normale la ‘certezza della pena’ vale anche per il detenuto: io sono stato scarcerato quasi venti anni fa, e sto ancora come prima dell`arresto, senza sapere se un giorno o l`altro mi riarrestano o mi riprocessano per qualcosa”, spiega l’ex brigatista che però poi afferma che accetterebbe: “Se ora l`Italia decidesse di muoversi con una richiesta come quella che ipotizza, io l`accetterei senza obiezioni, almeno metteremmo la parola fine a questa vicenda”. Accetterebbe anche l’ergastolo? “Sì”, risponde Lojacono. E su quello che è successo, “sulla verità”, l’ex brigatista parla ma non con tutti: “Non vedo perché parlare con chi mi considera ancora oggi terrorista e nemico pubblico. Che non sono. Ma non è un tabù, ne parlo con storici e ricercatori con cui si può discutere, solo lontani dalla propaganda e dalle fake-news si può ritrovare un senso storico”.

LA REPLICA DI FIORONI

Con Lojacono “noi eravamo disponibili anche a una rogatoria, ad andare noi in Svizzera, queste verità poteva dirle da lì. Non c’era bisogno di farsi riarrestare per parlare”, dice all’AdnKronos, Beppe Fioroni, presidente della Commissione parlamentare sul caso Moro nella scorsa legislatura, replicando alle parole dell’ex terrorista delle Br, tra gli uomini presenti in via Fani il 16 marzo del 1978, quando furono uccisi i 5 uomini della scorta e rapito Aldo Moro. “Con lui abbiamo avuto uno scambio epistolare”, ricorda Fioroni: “Ci ha spiegato che non intendeva rispondere alle domande perché, come risulta dagli atti, aveva scontato la sua pena con la giustizia elvetica”. Lojacono parla di complottismo sul caso Moro? “E’ ora di farla finita” prosegue Fioroni dopo che l’ex terrorista delle bierre, cittadino svizzero ha accusato la Commissione parlmentare “di dedicarsi alla ricerca di complotti”. “Il parlamento – ricorda Fioroni – ha approvato all’unanimità una relazione su fatti e prove certe, senza nessun complotto o interpretazione stravagante”. “E’ sempre più chiaro – conclude l’esponente del Pd – che la verità su Moro sia stata circoscritta in un campo di verità dicibili, attribuendo a pochi le responsabilità di tanti”.

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