Libano, il premier Hariri si dimette dopo due settimane di proteste: “Ho raggiunto un vicolo cieco”

29 ottobre 2019

Il primo ministro libanese Saad Hariri ha annunciato oggi che si dimetterà in una breve dichiarazione trasmessa in televisione. L’annuncio è stato accolto con urla di gioia da parte della folla che ascoltava la diretta nei punti in cui si era riunita, nell’ambito di una contestazione senza precedenti. Capo del governo di un paese in profonda crisi, Hariri ha annunciato che presenterà le dimissioni del governo al presidente Michel Aoun. “Mi reco al Palazzo di Baabda per presentare le dimissioni del govenro al presidente della Repubblica” ha detto Hariri nel suo breve intervento. “Ho cercato di trovare una soluzione alla nostra crisi nell’ultimo periodo, di ascoltare le necessità delle persone e di proteggere il Paese dai rischi per la sicurezza e per l’economia, ma ho raggiunto un vicolo cieco – ha aggiunto il primo ministro libanese -. Abbiamo bisogno di uno shock positivo per risolvere questa crisi”, ha aggiunto, invitando i libanesi a “mettere la sicurezza economica e sociale del Libano tra le loro priorità”.

Il primo ministro libanese, Saad Hariri

Anche oggi, seguaci dei movimenti sciiti libanesi Hezbollah e Amal hanno attaccato con spranghe e percosse manifestanti e attivisti che da giorni sono radunati su una delle principali strade dei Beirut, vicino alla centrale piazza dei Martiri, epicentro delle proteste popolari in corso da quasi due settimane in tutto il paese. Si registrano feriti. Le forze dell’ordine e l’esercito sono intervenute ma non sono riuscite a proteggere i manifestanti dalla foga degli assalitori. Sia Amal che Hezbollah hanno ministri al governo e dalle piazze del Libano in rivolta si chiede a gran voce la dimissione dell’esecutivo guidato da Saad Hariri. I disordini sono scoppiati lo scorso 18 ottobre nella capitale Beirut ed in altre città del Paese, dopo la decisione del ministero dell’informazione di introdurre una tassa, poi subito ritirata, sulle telefonate via Whatsapp. Negli scontri del primo giorno di proteste tra manifestanti e polizia ci sono stati due morti e una sessantina di feriti. Nei giorni scorsi, il capo della Chiesa maronita, cardinale Béchara Pierre Raï, aveva convocato una riunione straordinaria dei vescovi cattolici, esprimendo “forti preoccupazioni” per gli avvenimenti nel Paese. “La gente non ha più fiducia nei politici – aveva detto – noi non possiamo deluderli e oggi siamo riuniti per parlare con loro, discuteremo insieme le idee attraverso una carta di lavoro preparata negli ultimi due giorni”.

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Le dimissioni di Hariri segnano una svolta politica con forti ripercussioni interne e regionali. Nel vicino Iraq anche un altro primo ministro sostenuto dall’Iran, Adel Abdel Mahdi, rischia di dover lasciare la guida del governo: dall’inizio di ottobre piu’ di 250 manifestanti sono stati uccisi a Baghdad e nel sud del paese dalla repressione delle autorita’ col sostengo di milizie locali. Il capo del governo iracheno ha finora respinto l’invito alle dimissioni, rivoltogli dal leader sciita Moqtada Sadr, che gode di un ampio consenso popolare ma che guida anche il piu’ numeroso blocco parlamentare. Lo stesso Sadr oggi si e’ unito ai manifestanti nella citta’ santa sciita di Najaf, a sud di Baghdad. E mentre il vicino Iran ha invitato i pellegrini diretti ai luoghi santi sciiti iracheni a rimandare i loro viaggi, la tensione rimane alta in tutte le citta’ del sud del paese, dominato dalle milizie sciite filo-iraniane. Queste secondo diversi testimoni sono implicate nella sanguinosa repressione delle proteste popolari. Fonti mediche e attivisti per i diritti umani riferiscono di piu’ di 250 manifestanti uccisi dall’inizio di ottobre. A questi si aggiungono i circa 20 uccisi nella notte nell’altra citta’ santa sciita, Karbala. Molte delle vittime sono state raggiunte da colpi di arma da fuoco sparati da non meglio precisati uomini armati col volto coperto. Intanto nella centrale piazza Tahrir a Baghdad la mobilitazione pacifica prosegue. Dopo aver sfidato il coprifuoco la notte scorsa, migliaia di persone, tra cui numerosi studenti universitari, portano avanti il sit-in chiedendo le dimissioni dell’intera classe politica definita “corrotta”.

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In Libano, il movimento sciita armato Hezbollah, che nei giorni scorsi aveva evocato lo spettro del caos e della guerra civile in caso di caduta di governo, oggi ha inviato centinaia di suoi seguaci, armati di spranghe e bastoni, ad assalire i manifestanti nelle due piazze della protesta a Beirut. Scesi dal vicino quartiere di Khandaq Ghamiq e Zoqaq Blatt bande di giovani armati hanno picchiato i manifestanti che da giorni bloccavano la principale via di comunicazione tra i quartieri orientali e occidentali di Beirut. Gli agenti di polizia e i soldati dell’esercito erano schierati a ranghi ridotti e non hanno impedito l’assalto, che ha abbattuto i gazebo e le tende erette nei giorni scorsi, proprio li’ dove i manifestanti hanno piu’ volte intonato una versione locale di ‘Bella ciao’. Il raid e’ avvenuto solo un’ora prima dell’atteso discorso di Hariri. Il premier e’ stato laconico nell’ammettere di essere arrivato al capolinea e di non avere altra scelta se non quella di consegnare le dimissioni al capo dello Stato, Michel Aoun. Il presidente della Repubblica, anch’egli nel mirino delle proteste, secondo la costituzione deve ora accettare le dimissioni e avviare le consultazioni per affidare un nuovo incarico. Questo potrebbe ricadere sullo stesso Hariri per un governo tecnico composto da ministri non identificati con l’attuale classe politica. Ma e’ un’ipotesi difficilmente realizzabile nel breve termine. E che richiede il consenso non solo di Aoun ma del potente alleato Hezbollah. Il partito di Dio ha gia’ detto di rifiutare una simile opzione. E potrebbe decidere di arroccarsi, imponendo un premier di fiducia del movimento filo-iraniano. Una soluzione che, secondo osservatori locali, significherebbe alzare il livello dello scontro politico nel paese. Anche perche’ intanto a Beirut sono scesi in strada stasera anche i seguaci, sunniti, del premier dimissionario Hariri.

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