C’è un sentimento ambivalente, nel Pd, il giorno dopo il voto ligure. Da un lato il peso di una sconfitta in una regione che sembrava terreno facile dopo le inchieste che hanno travolto la giunta di Giovanni Toti. Dall’altra quel 28,5% che riporta il partito a livelli che non toccava da anni e che premia il lavoro di consolidamento del partito avviato dalla segretaria Elly Schlein. Due dati contrastanti, che per ora non aprono un dibattito pubblico nel Pd, perché – come ripetono tutti – prima ci sono le elezioni in Emilia Romagna e Umbria, e nel secondo caso il risultato è tutt’altro che scontato.
Ma la riflessione, per ora solo a livello assolutamente interno, è iniziata e dopo il voto previsto nelle altre due regioni a metà novembre sarà inevitabile fare un punto su alleanze e profilo del Pd. La stessa Schlein, del resto, ieri sera a caldo ha posto il tema invitando gli alleati a “riflettere” e aggiungendo che il Pd non ha “mai speso un minuto in polemiche o competizioni con le altre opposizioni, perché il nostro avversario è questa destra che vogliamo battere”. Pesano le liti tra Calenda e Renzi, lo scarso risultato delle forze centriste, ma a questo punto si apre innegabilmente un problema M5s e a porlo non è più solo l’ala ‘moderata’ del Pd. Lo stesso Andrea Orlando, ieri sera, non ha nascosto il disappunto per le beghe che hanno appesantito la sua corsa: “Il pluralismo è una ricchezza ma la ricchezza a volte è un danno. Bisogna costruire centrosinistra stabile a livello nazionale” senza cambiare ogni volta “format”.
L’ex ministro mantiene un linguaggio diplomatico, ma qualche altro parlamentare della sinistra Pd è più netto: “Con i 5 stelle non si può andare così, non possiamo continuare con le alleanze ‘a geometria variabile’. Dire no a Renzi è stato un errore, non tanto per i voti che avrebbe portato ma perché abbiamo detto ai moderati ‘non votate per noi'”. Ma, d’altro canto – aggiunge la stessa fonte – “i centristi continuano a prendere troppi pochi votià C’è un problema anche lì”. L’ala moderata del Pd si fa sentire con Alessandro Alfieri: la sconfitta “brucia”, spiega, perché “partivamo da una situazione favorevole” e arriva nonostante il Pd abbia ottenuto un “notevole 28%”. Ma, aggiunge, “purtroppo sono prevalsi i veti. “noi non abbiamo ancora definito il perimetro e il minimo comun denominatore di una coalizione, condizione per essere alternativa credibile alla destra in vista delle prossime elezioni politiche. Ora dobbiamo concentrarci sulle sfide in Emilia Romagna e Umbria, ma subito dopo serve una discussione seria su questo tema”.
E la discussione non sarà semplice. Come spiega un altro parlamentare di area riformista “ci sono due possibilità: o esce fuori un ‘Rutelli’ degli anni ’20 o tocca al Pd svolgere quel ruolo, uno po’ come fece Veltroni”. Di fatto, una riscoperta della vocazione maggioritaria, che però né la sinistra del partito né la Schlein sembrano intenzionati a praticare. La segretaria ha difeso sì il profilo plurale del partito, ma rivendica in continuazione la scelta di avere dato una connotazione più precisa al Pd, più “chiara”, come ripete spesso, su temi-bandiera, dai migranti ai diritti, al lavoro. “Ora la gente ci riconosce”, ripete nei suoi comizi. Più praticabile, per la sinistra Pd, investire sulla nascita di un nuovo soggetto centrista, anche se al momento non si vede il possibile aggregatore di questa area moderata.
Di certo oggi ha fatto un passo avanti Beppe Sala. Il sindaco di Milano si è detto “preoccupato per la composizione, la consistenza e la competitività della coalizione di centrosinistra” e in particolare per la debolezza sul fronte moderato: “Ciò che palesemente è deficitario nel centrosinistra è la forza centrale, quella moderata, pragmatica, capace di riforme, europeista – una nuova componente liberal, che al momento ha una rappresentanza non definita”. In tanti hanno letto questa frase come un passo avanti per magari proporsi come catalizzatore di quest’area “moderata” al momento senza rappresentanza.
Ma, d’altro canto, in Avs si guarda con diffidenza a queste operazioni centriste: “Elly deve ripartire dalle forze che sono stabilmente e coerentemente all’opposizione, cioè Pd, noi e M5s. Smettiamo di andare dietro a Renzi. Poi, al centro qualcosa nasceràà”. Sia Fratoianni che Bonelli sono preoccupati dalle spinte ad un “chiarimento” con M5s che cominciano appunto ad arrivare anche in ambienti della sinistra Pd. La Schlein sa di avere un po’ di tempo, perché appunto la discussione non entrerà nel vivo prima delle regionali di metà novembre. E la speranza è che dall’Umbria possa arrivare un risultato che stemperi un po’ le tensioni. Ma il rebus irrisolto delle alleanze – e per qualcuno anche del profilo del Pd – è sempre più al centro della discussione.