Almeno otto persone sono morte e altre 58 risultano disperse nell’ultimo naufragio di un’imbarcazione di migranti avvenuto martedì scorso al largo della Libia, dove “lo status di migranti e rifugiati rimane un serio motivo di preoccupazione”, stando al rapporto Onu “Libya Humanitarian Overview 2023”. Al 21 gennaio scorso l’Organizzazione internazionale per i migranti aveva registrato almeno 17 morti e 18 dispersi al largo della Libia, e oltre 1.100 migranti intercettati e rimpatriati dall’inizio dell’anno. Una volta riportati in Libia, i migranti vengono trasferiti nei centri di detenzione gestiti dallo Stato. Anche gli 84 sopravvissuti al naufragio di martedì scorso al largo di Garabulli, circa 60 chilometri a est di Tripoli, sono stati trasferiti nei centri di detenzione, stando a quanto riferito dalla Mezzaluna rossa libica.
“Nonostante il rischio di detenzione e l’insicurezza delle rotte migratorie, migranti, rifugiati e richiedenti asilo continuano a intraprendere il pericoloso viaggio attraverso il Mar Mediterraneo” si legge nel rapporto Onu, ricordando che nel 2022 sono state oltre 1.400 le persone morte e disperse nel Mediterraneo, e più di 24.000 quelle intercettate e riportate in Libia. “La maggior parte dei migranti e dei rifugiati riportata in Libia è detenuta in modo arbitrario senza un giusto processo – si sottolinea nel rapporto – e continua ad affrontare gravi e diffuse violazioni dei diritti umani”.
Le Nazioni Unite sottolineano che la “mancanza di un determinato stato giuridico per molti migranti e la mancanza del riconoscimento dello status di rifugiato aggrava i molteplici ostacoli alla protezione di migranti, rifugiati e richiedenti asilo”. “Lo spazio di protezione per i non libici continua a ridursi, dal momento che l’accesso alla popolazione interessata da parte delle agenzie umanitarie è impegnativo, in particolare alle persone detenute arbitrariamente nei centri, in condizioni deplorevoli”, si sottolinea nel rapporto, rimarcando che in questi centri sono detenuti anche “centinaia di bambini”, esposti al rischio di rimanere vittime di “tratta di esseri umani, violenza sessuale e separazione familiare”.