di Maurizio Balistreri
In realtà l’accordo raggiunto stamattina dopo 17 ore di Eurogruppo è solo un primo passo. Ora il governo di Atene ha tre giorni per approvare il pesante pacchetto di riforme che, tra l’altro, riguarda settori delicati come il fisco, le pensioni, il lavoro e la giustizia. Le istituzioni europee, in tre anni, si impegnano a sostenere Atene con 82-86 miliardi di euro, 25 verranno utilizzati per il salvataggio delle banche greche, 7 potrebbero arrivare a breve con un prestito ponte che servira ad onorare i debiti non pagati. Contemporaneamente verrà creato un fondo di garanzia del valore di 50 miliardi che attraverso gli introiti delle privatizzazioni aiuterà gli investimenti necessari per la crescita e abbassare il debito pubblico. Tutto, però, è nelle mani del Parlamento di Atene che dovrà dare il via libera all’accordo. A quel punto, forse già mercoledì, si terrà un nuovo Eurogruppo e i singoli Paesi dell’Eurozona potranno avviare l’iter di approvazione (sull’intesa dovrà esprimersi, tra gli altri, anche il Parlamento tedesco). Per Tsipras non sarà un passaggio indolore visto che parte del suo partito è contraria all’intesa. Questo significa che a breve il premier si troverà a governare con una maggioranza diversa da quella con cui ha vinto le elezioni.
IL FONDO IN CIFRE Dunque, sarà di 50 miliardi, come voluto da Berlino, l’ammontare obiettivo del “fondo della discordia” imposto alla Grecia in cambio di un terzo piano di aiuti (ancora da negoziare). Il fondo è per metà destinato a pagare la gigantesca ricapitalizzazione delle banche greche, e per l’altra metà a garantire e riscattare l’immenso debito pubblico accumulato dal Paese, ma alla pari – ed è questo il compromesso che Atene è riuscita ad ottenere anche con l’appoggio dell’Italia – anche a sostenere piano di sviluppo dell’economia. Altro aspetto chiave è che resterà tutto in Grecia, pur sotto la “supervisione” delle istituzioni Ue. In pratica, secondo il documento approvato dai capi di Stato e di governo dell’area euro all’unanimità, il fondo alimentato mediante il conferimento di beni da privatizzare o da gestire dovrà generare un obiettivo totale di 50 miliardi di euro. Di questi fondi, 25 miliardi saranno utilizzati per pagare la ricapitalizzazione delle banche. Le stime dell’Eurogruppo parlavano di un fabbisogno di capitale tra 10 e 25 miliardi, appunto. E si tratta di una voragine che in buona parte si è scavata negli ultimi mesi, con la fuga di capitali e di depositi che si è scatenata dopo la vittoria elettorale di Syriza (e di cui il partito di governo viene incolpato anche per la sua gestione dei negoziati).
Secondo il documento dell’Eurosummit, il rimanente del fondo verrà utilizzato “al 50 per cento” per diminuire il debito pubblico e al 50 per cento per sostenere gli investimenti. In pratica sullo sviluppo confluirebbero 12,5 miliardi di euro di questi 50 miliardi teorici, che si andranno ad aggiungere ai 35 miliardi di euro di fondi previsti per la Grecia dal piano di investimenti Juncker. Ma appunto si tratta di cifre teoriche. Perché nel corso di questa ultima fase di negoziati il premier greco Alexis Tsipras aveva avvertito che Atene stimava in al massimo 17 miliardi di euro i proventi possibili da privatizzazioni. E secondo il Fmi questa voce sarebbe ancora più bassa: 7 miliardi di euro. Al termine del vertice il presidente del consiglio Matteo Renzi ha rilevato come la cifra di 50 miliardi rappresenti una “esagerazione”. Anche perché, ha spiegato un Paese come l’Italia che si è spinto molto più avanti di altri sulle privatizzazioni ne ha ricavato fondi per l’equivalente dell’11 per cento del Pil mentre 50 miliardi in Grecia equivarrebbero al 25 per cento del Pil. Altro punto cruciale del compromesso è che il fondo in questione avrà sede in Grecia e sarà gestito dalle autorità locali, per quanto come anzi detto sotto la supervisione dell’Ue. “Abbiamo lottato molto perché questo fondo stesse in Grecia e non fosse commissariato – ha detto Renzi – perché sarebbe stata una umiliazione”.